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I libri di PoesieRacconti

La Repubblica delle due Sicilie

La Repubblica delle due Sicilie

Autore:
             

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Editore: Kimerik
Prezzo: 10,00 €
Pagine: 102
ISBN: 978-88-6096-229-4

Recensione
Maria Lucia Lo Presti


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Che sia in corso da tempo una demolizione del mito del Risorgimento non è una novità. È anche il caso del recente romanzo di Nino Lo Iacono che, seppure non sia scrittore di professione, non è nuovo nel panorama degli scrittori di cose di Sicilia. Con "La Repubblica delle due Sicilie" (Kimerik, Patti, € 10, 00), l'autore sullo sfondo della spedizione dei Mille inserisce una storia d'amore e la volontà di riscatto di un servo che da analfabeta apprende a leggere e scrivere per emanciparsi e iniziare la scalata sociale. Questa è, però la "storia secondaria" " il plot", la story, invece si snoda in un intreccio di interessi politici e misfatti di varia natura perpetrati da Garibaldi e dalla sua "ciurma".
Ritorna la logica di Tancredi Falconieri "Se tutto deve rimanere com'è, è necessario che tutto cambi". Quando nel romanzo di Lo Iacono a Palermo i "coppuli" sono in rivolta contro i "cappeddi", la risposta del conte di Montelungo al Barone La Picuzza non lascia adito ad equivoci: i nobili si stanno costruendo una nuova immagine, stare a fianco dei rivoluzionari, sostenere Garibaldi da " liberali e unitari". "Saremo la spina dorsale del nuovo regno d'Italia, gli unici interlocutori di Garibaldi e del re del Piemonte", conclude, immaginando un'alleanza con l'Eroe dei due mondi cui chiederà di "accontentare i contadini, senza però scontentare" se stesso e gli altri nobili. "In fin dei conti, appena questa orda di barbari siciliani e di importazione passerà, qualcuno dovrà pure amministrarare i comuni, i distretti, le province; e voi credete che i villani ignoranti e analfabeti potrebbero farlo?". Tutto cambi perché tutto resti com'è: un ritornello che alla Sicilia ha creato la cappa di piombo del trasformismo, della doppiezza, dell'utilitarismo becero e gretto; di questo piombo non ci siamo ancora liberati. Continuiamo girarci tra piume avvizzite e, come la vecchia di dantesca memoria, cambiamo fianco. Garibaldi avrà avuto i suoi interessi, si sarà piegato a inglesi e piemontesi, ha determinato l'annessione obtorto collo, ma in un secolo e mezzo di storia i siciliani non hanno avuto la forza, il coraggio, la dignità di crearsi un'identità forte. È vero che l'impresa di Garibaldi non riuscì a far ottenere i contadini le terre, né l'affrancamento dalla nobiltà, è vero che i "cappeddi" "salirono sui carri del vincitore, ma è anche vero che nei secoli tanti siciliani che hanno studiato hanno replicato alla perfezione le logiche del passato. Il discorso conclusivo del Barone La Picuzza con il suo massaro insiste su "omini di carni e ossa, fatti di vizi e di virtù, ma anche deboli, pronti a diventare complici. "A me avevano parlato di una democrazia repubblicana" invece la Sicilia è stata unita ad un altro regno; "non potevamo farci una repubblica tutta per noi, quella delle due Sicilie? Certo, ma il nobile riconosce che per farla rivogliono uomini che amano la propria terra.
Il narratore conclude che la Sicilia era piena di questi uomini, ma che "la loro onestà, la serietà con cui credevano nei valori veri li costringeva a non partecipare alle lotte per il potere". "Così la Sicilia la fecero gli altri, quelli che non fecero i siciliani, ne tanto meno gli italiani di Sicilia". Serpeggia tra le pagine l'autonomismo siciliano che si richiama a quello Mezzogiorno d'Italia e al meridionalismo. Quale che sia, però, l'ideale per il riscatto della dignità della Sicilia, non c'è nessun movimento politico che possa fare a meno di uomini seri e onesti disposti al sacrificio e non all'accattonaggio delle piccole cariche del momento. Il barone la Picuzza, quando vede che con l'impresa garibaldina il dominio sabaudo ha sostituito quello borbonico, abbandona completamente la vita politica. Negli anni tanti uomini veri avrebbero potuto far diventare realtà lo statuto speciale di cui la Sicilia gode, ma non l'hanno fatto. In questa prospettiva non è necessario essere autonomisti, basta essere uomini innamorati della propria terra e del destino di un popolo.
Libro da leggere quello di Nino Lo Iacono, a condizione che smantellare il Risorgimento non renda lieti delle rovine.