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Oblio

A volte mi perdo guardando la luna e desiderando volare nel cielo aggrappandomi freneticamente con le mani a stelle luminose e correre nell'universo infinito e contemplare il minuscolo pianeta in cui tutto è niente. A volte mi estraneo da tutti e chiudo la porta con lacrime trattenute che premono bollenti contro le palpebre subito richiamate indietro da aspre parole del mio inconscio. Mi stacco da tutto tagliando i ponti con il mondo esterno premendomi auricolari vibranti contro i timpani per ascoltare voci incazzate che urlano la merda del mondo e urlo con loro strillando di vite distrutte e cancellate in quell'assassino che è il tempo. A volte vorrei sprofondare a terra trovare lucciole fatate-lucciole che mi entrino negli occhi vedere solo lucciole fatate-lucciole che si rincorrono svolazzano davanti alle mie pupille creando strani giochi di luci. A volte rimango a fissare un punto pensando e pensando sempre e guardando alla realtà con la meraviglia di chi ancora non ha visto nulla o forse ha visto troppo e osservo le persone che corrono lungo il filo della loro esistenza senza pensare al baratro sotto di loro e le invidio. Chiudo la porta della mia anima accessibile solo a me e con rabbia sbarro la strada a chi cerca di vagliarne le parti più remote desiderando allo stesso tempo un tocco amico che mi consoli che rida insieme a me e che pianga insieme a me e vorrei non sentirmi ribelle incazzata e strafottente ma così vulnerabile che un legnetto potrebbe spezzarmi. Penso a metafore e a storielle moralistiche orientali mentre strillo al mio cuore sei una stronza no sono sola no sei tu non puoi fare nulla arrenditi al ruolo che qualcuno ha già scelto per te comportati da docile bestia da macello mentre una mano falsamente gentile ti porta alla totale distruzione che è la vita. Non puoi farci niente perché sai di essere fatta così perché sai di quanto può ferire la tua fottutissima incostanza perché sai di voci rotte al telefono supplichevoli di un brandello di te perché sai di notti in uno squallido balcone a cantare lugubre sotto le stelle quella grande illusione che è la gioia. Fuggire da tutto ed allo stesso tempo combattere battaglie interiori sondando le debolezze di quel nemico che è dentro di te che sai non aspettare altro che una distrazione per insinuarsi subdolo nel tuo cervello implacabile sussurrare di dubbi ed incertezze fin troppo familiari di tradimenti e di illusioni di follie e normalità forzata di cuscini premuti sulle orecchie e di chitarre aggredite violentemente per una melodia immortale da scrivere e cantare se vuoi. Spasmodiche urla nel cuore della notte e serate sbronze a ridere e scherzare mentre ogni risata è una pugnalata e ogni parola va dentro e ferisce anime assopite tremanti e ogni gesto è un ago che trafigge il petto formando curiosi rivoli vermigli intrecciati in metafore importanti o in figure ammantate di nero che ti aspettano al varco e tu lo sai che il tuo nome è già scritto e che il tempo scorrerà la tua pelle invecchierà e vedrai giovani fanciulle in fiore tutte da invidiare mordendo e straziando con piacere la loro giovinezza per riprenderla ancora e allora sai di non volere tutto questo ma di vedere per te una morte tranquilla su una verde prateria irlandese a sussurrare di api-fiore e di nuvole-pecore con una rosa nera sul petto e le spine conficcate sulla tua pelle in un particolare mosaico che solo tu possiedi. Inventare scene di introduzione all'agognato oblio dimenticandosi finalmente di conversazioni vicino alla finestra con il pensiero rivolto a simili dialoghi vicino a fermate di metropolitane. Creare intense storie da narrare in notti senza luna con lacrime che solcano le gote di emarginati come te che pensano alla strana posizione del tuo corpo senza vita che giaceva storto con lo sguardo cieco rivolto al cielo e con la bocca beffarda e nostalgica che ride senza allegria gridando di chi è rimasto e di chi è partito e una lacrima mai versata che è scesa incerta fino alle fredde labbra come ultimo tributo. Allora il mio cuore impazzito avrà cessato di battere per sempre togliendo il respiro alla persona che ero e che non sarò mai più perché il mio posto è qui nel'infinito a guardare ironica le pene della vita estranea al dolore e alla gioia all'amicizia e all'amore e non capirò il perché di tanti pianti e di tanta rabbia e i miei occhi limpidi e gelidi osserveranno il lento scorrere del tempo che non lascia conseguenze sul mio corpo. Con una rosa nera in mano premere le spine sulla mia pelle facendo gocciolare lentamente piccole perle che scandiscono il ritmo della mia esistenza assonnata.

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3 commenti     1 recensioni    

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1 recensioni:

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  • Antonio il 14/11/2017 16:30
    Molto forte questo racconto scritto anche co proprietà di linguaggio.

3 commenti:

  • Katia Gusmini il 02/12/2011 02:41
    "Chiudo la porta della mia anima accessibile solo a me e con rabbia sbarro la strada a chi cerca di vagliarne le parti più remote desiderando allo stesso tempo un tocco amico che mi consoli"
    Davvero parole azzeccate.. Che esprimono una sensazione difficile e complessa..
    Bel testo, ricco di immagini potenti ed efficaci!
  • Maria Angelino il 07/11/2011 01:12
    Ti ringrazio del complimento, ma questo è il mio stile e se le metto c'è un motivo
    L'impatto è maggiore, si prova quasi un senso di fastidio a leggerle.. E questo è l'effetto che voglio dare.
    Voglio un riscontro stilistico ad amplificare quello emotivo.
  • Anonimo il 06/11/2011 09:40
    Maria, scrivi molto bene, ma perchè non togli quelle 4/5 parolacce volgari?

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