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reunion

Seguo coscientemente il lento scorrere dell’acqua lungo il rubinetto, soffermandomi in particolare su quei brevi ed immobili istanti che precedono il distacco della goccia.
La goccia corre sprezzante e spedita lungo il collo del rubinetto, per poi rallentare, il passo incerto di fronte al baratro.
Saranno le vertigini, l’emozione del campo di battaglia intravisto dall’alto?
Il passo si fa grave, pesante. Ogni movimento sembra calcolato, pianificato.
La goccia avverte l’inclinazione di 90°, lo smarrimento un attimo prima della meraviglia.
Poi si lascia andare giù, calandosi come esperta speleologa.
È qui che la lotta ha inizio: Goccia prova a resistere, il corpo come scudo, alle lusinghe di Gravità.
Goccia si inarca, si gonfia, si deforma nello sforzo.
Gravità è ai bordi, defilata, guarda Goccia sprezzante, la chiama “ingenua”.
La trasformazione, il mutamento della forma, la sfida contro la forza di gravità che inesorabilmente finirà con una sconfitta, ma che intere generazioni di gocce non si stancano di portare avanti.
Non importa come finirà, o meglio, si sa già.
Ma l’ignoranza dell’ineluttabilità degli esiti, la memoria breve delle gocce d’acqua, bè, è forse proprio questa la loro forza.
Chi mai potrebbe ripetere all’infinito, generazione dopo generazione, lo stesso gesto inutile?
“pazzia è compiere lo stesso gesto aspettandosi un diverso risultato”, ho letto da qualche parte.
Non posso dire di essere totalmente d’accordo, ma contestualmente calza a pennello.
La giornata inizia quindi con un doppio ticchettio, da una parte lo scorrere lento ed inesorabile del tempo, che si porta dietro il suo eterno cliché, dall’altro la lotta sempiterna tra le gocce d’acqua e la gravità, Eterna Vincitrice.
Anche questa mattina mi tiro su a sedere, pensoso, come in una messinscena per un pubblico immaginario che ogni mattina si raduna ai piedi del mio letto per ammirare i gesti pesati e gravi con cui mi porto le mani alla fronte, controllo l’ora piegandomi leggermente a sinistra e concedendo solo alla periferia del mio occhio di intravedere i numeri rosso slavato segnati sulla vecchia sveglia digitale.
Si, lo so, ho detto “ticchettio del lento ed inesorabile scorrere del tempo”, od una cosa del genere, non ricordo.
Bè, comunque, naturalmente non è la sveglia digitale dai numeri rosso slavato a produrre il ticchettio.
Vi rivelo anche l’informazione superflua che a produrre tale suono cadenzato è un ancor più vecchio orologio a muro grande quanto un’anguria e spesso come un albo a fumetti quindicennale, dal peso cosi strano da ingannare la percezione anche del più esperto orologiaio.
Tale orologio è, per ragioni che esulano dalla comprensione umana, insincronizabile con i comuni e condivisi sistemi di misurazione del tempo.

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