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Solo

A bocca aperta, a mangiare l'aria. Col cuore che mi batte in gola, in testa, che mi esplode, che rimbomba, che scava nell'anima. Dai che ci siamo, dai che ci sei.
Ma dove sono tutti?
Io so cosa significa morire. Sono quasi morto tante volte, sfidandomi, accelerando il passo, guardando dritto negli occhi l'agonia. Prima arrivo, prima finisce. Più veloce vado, prima rinasco.
Nessuno però oggi grida il mio nome. Nessun applauso, nessuna gloria.
Lui mi osserva, aspetta. La camera è il mio campo di battaglia in questa bettola dove mi ero venuto a nascondere da tutto e tutti, anche da quella maschera che mi guarda dallo specchio. Parla al telefono, dice che bisogna solo aspettare, ci siamo quasi.
No, oggi non voglio accelerare, oggi niente scatti, oggi l'agonia non finisce più, non riesco a sfidarla. Oggi non sono solo a vincere la fame d'aria e il dolore, ma lui non fa il tifo per me.
Aspetta solo che finisca tutto, finalmente.
Nessun premio per un relitto come me. Oggi ho perso, di nuovo, per sempre. No, non mi devono vedere così, nessuno mi deve vedere così.
Ma dove sono, dove mi hanno lasciato, cosa mi hanno fatto?
Lui prende la foto, la maledetta foto. Quella con cui tenevo tutti per le palle.
Spacciatori, magnaccia, puttane, sbirri. Tutti a inzuppare il pane in quello che ero e a succhiarmi il sangue, quello che ne rimaneva. Sono un relitto che affonda, sprofonda, senza che nessuno sappia dove andare a cercarmi.
La vergogna è un sentimento viscoso, nauseante, che tutto avvolge.
È tutto buio. Ho finito la rabbia. Il cuore esplode. La mia voce è un ansimare di disperazione. Senza luce.
Ma io non sono come loro, non lo sono mai stato. Io sono ci sono caduto, risucchiato, buttato.
E questa volta non ce l'ho fatta. Non mi sono rialzato. Non sono più ripartito.
Mamma, perdonami.
Fame d'aria, cuore che batte forte, fortissimo, quasi volesse scoppiarmi fuori dal petto. Ma non c'è nessuno: nessun avversario da battere e staccare, nessun giornalista a cui regalare chilometri d'inchiostro, nessun "amico" da far banchettare.
La mia vita è stata sempre il tentativo di rimanere solo, di andare solo.
Ma oggi no.
Oggi mi hanno staccato gli altri, mi hanno lasciato solo. E l'agonia non finisce più. Più vado veloce e più mi sembra che resti da soffrire. Ma il tempo non passa. E nessuno che mi venga ad aiutare, a raccogliere, a grattare via di qui.
Lui mi dice qualcosa, mi offende, mi sputa in faccia. Ma non so reagire, non so fare nulla, non riesco a muovermi.
Solo fame d'aria.
L'ultimo chilometro.
Hanno provato a ricattarmi, a offendere la mia dignità, a dileggiarmi, a trattarmi come trattano un tossico qualsiasi, un fallito qualsiasi. Ma io ho risposto, attaccando. La mia dignità ha un prezzo, fosse anche quello più alto. Ho reagito con l'unica cosa che so fare: attaccare, sfinire, sfidare. Ma la vita non è andare in bici e un giro di coca non è un giro d'Italia.
Ma non posso morire di vergogna. Non lo merito, non lo meritiamo.
Una volta avrebbero pagato per essere in una foto con me. Oggi no. Oggi pago io.
Bocca aperta a mangiare aria. Cuore che martella. Occhi spalancati.
Lui mi si avvicina, mi guarda, prende il telefono: "Fatto".
Ma dove sono tutti?
Mamma, addio.

 

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1 recensioni:

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  • Rocco Michele LETTINI il 06/08/2014 15:57
    RIFLESSIONE, REALTA'... E UN RACCONTO SAPIENTEMENTE CORREDATO... FELICE PERMANENZA IN QUESTO STUPENDO SITO.

1 commenti:

  • Anonimo il 06/08/2014 16:02
    La catarsi può avvenire anche tramite uno scritto come questo. E qui non sei solo.

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