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Il delfino che si credeva una tigre

Siamo sul litorale romano all'inizio degli anni settanta. È agosto e fa molto caldo. C'è un bambino di circa quattro anni che sta giocando con paletta e secchiello sulla sabbia. Intorno a lui file di ombrelloni così alti da sembrare alberi senza foglie. All'improvviso il bambino ode una musica lontana che si fa sempre più vicina. Sempre più vicina.
Ad un certo punto compaiono, insieme a quella musica misteriosa, due figure che stridono maledettamente con tutto quello che il bambino era abituato a vedere intorno a lui. Sono vestiti di stracci e suonano uno strumento da cui esce una melodia che incanta profondamente il piccolo; lo incanta così tanto da chiedere alla mamma chi fossero quei signori e perché stessero suonando quegli strani strumenti sulla spiaggia completamente vestiti. La mamma risponde teneramente al figlioletto che quei signori sono degli zingari. Stanno suonando uno strumento musicale chiamato fisarmonica sulla spiaggia, perché non hanno i soldi per mangiare. Il bambino rimane molto turbato da quella risposta. Non era proprio possibile che quei signori non avessero da mangiare. Non era propio possibile che qualcuno a questo mondo non avesse da mangiare. Così chiede alla mamma se fosse possibile far venire quella gente a casa loro per sfamarli. La mamma risponde che questo non poteva propio succedere, perché non si invitano degli sconosciuti a casa propia. Il bambino scoppia in un pianto dirotto, disperato. Si aggrappa con forza alle gambe della madre: <<Ti prego mamma facciamo mangiare quei signori a casa insieme a noi>>. La madre imbarazzata prende il bambino in braccio e si avvia verso l'uscita dello stabilimento. Intanto quella melodia misteriosa si fa sempre più lontana. Sempre più lontana; confondendosi con il rumore del mare, il vociare della gente e il dolore inaspettato e brutale di un bambino, in una bella giornata di mare come tante.

 

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