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Poesie di Giosuè Carducci

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All'aurora

Tu sali e baci, o dea, co 'l roseo fiato le nubi,
baci de' marmorei templi le fosche cime.
Ti sente e con gelido fremito destasi il bosco,
spiccasi il falco a volo su con rapace gioia;

mentre ne l'umida foglia pispigliano garruli i nidi,
e grigio urla il gabbiano su 'l vïolaceo mare.
Primi nel pian faticoso di te s'allegrano i fiumi
tremuli luccicando tra 'l mormorar de' pioppi:

corre da i paschi baldo vèr' l'alte fluenti il poledro
sauro, dritto il chiomante capo, nitrendo a' venti:
vigile da i tuguri risponde la forza de i cani
e di gagliardi mugghi tutta la valle suona.

Ma l'uom che tu svegli a oprar consumando la vita,
te giovinetta antica, te giovinetta eterna
ancor pensoso ammira, come già t'adoravan su 'l monte
ritti fra i bianchi armenti i nobili Aria padri.

Ancor sovra l'ali del fresco mattino rivola
l'inno che a te su l'aste disser poggiati i padri.
Pastorella del cielo, tu, frante a la suora gelosa
le stalle, riadduci le rosse vacche in cielo.

Guidi le rosse vacche, guidi tu il candido armento
e le bionde cavalle care a i fratelli Asvini.
Come giovine donna che va da i lavacri a lo sposo
riflettendo ne gli occhi il desïato amore,

tu sorridendo lasci caderti i veli leggiadri
e le virginee forme scuopri serena a i cieli.
Affocata le guance, ansante dal candido petto,
corri al sovran de i mondi, al bel fiammante Suria,

e il giungi, e in arco distendi le rosee braccia al gagliardo
collo; ma tosto fuggi di quel tremendo i rai.
Allora gli Asvini gemelli, cavalieri del cielo,
rosea tremante accolgon te nel bel carro d'oro;

e volgi verso dove, misurato il cammino di gloria,
stanco ti cerchi il nume ne i mister de la sera.
Deh propizia trasvola - così t'invocavano i padri -
nel rosseggiante carro sopra le nostre case.

Arriva da le plaghe d'orïente con la fortuna,
con le fiorenti biade, con lo spumante latte;
ed in mezzo a' vitelli danzando con floride chiome
molta prole t'adori, pa

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Pe' 'l chiarone da Civitavecchia

Il sole illustra le cime.
Là in fondo sono i miei colli,
con la serena vista,
con le memorie pie.



Plebiscito

Leva le tende, e stimola
La fuga de i cavalli;
Torna a le pigre valli
Che il verno scolorò!

Via! su le torri italiche
L'antico astro s'accende:
Leva, o stranier, le tende!
Il regno tuo cessò.

Amor de' nostri martiri,
De i savi e de' poeti,
Da i santi sepolcreti
La nuova Italia uscì:

Uscì fiera viragine
De le battaglie al suono,
E la procella e 'l tuono
Su 'l capo a lei ruggì.

Levò lo sguardo; e splendida
Su 'l combattuto lido
Mandò a' suoi figli un grido
Tra l'alpe infida le 'l mar:

E di ridesti popoli
Fremon le valli e i monti,
E su l'erette fronti
Un sangue e un'alma appar.

Già più non grava i liberi
Viltà di cor le ciglia:
Siam l'itala famiglia
Cui Roma il segno diè.

La forte Emilia abbracciasi
A la gentil Toscana:
Legnano e Gavinana
Sola una patria or è.

L'ombre de' padri sorgono
Raggianti in su gli avelli;
Il sangue de' fratelli
Da' campi al ciel fumò.

Già sotto il piede austriaco
Bolle lampeggia e splende:
Leva, o stranier, le tende:
Il regno tuo cessò.

Piena di fati lun'aura
Da i roman colli move;
La terra e il ciel commove
Le tombe e le città.

In ogni zolla, o barbaro,
A te una pugna attesta
L'antica età ridesta
Con la novella età.

Vedi: Crescenzio i tumuli
Schiude nel suol latino:
Levato in piè Arduino
Incalza il nuovo Otton.

T'incalza il sasso ligure,
La siciliana squilla;
E Procida le Balilla
Accende la tenzon.

Ecco: Ferruccio l'impeto
Ed il furor prepara:
Lo stuol di Montanara
Intorno a lui si tien.

Ne i dolor lunghi pallido
Ecco il sabaudo Alberto:
Gittato ha il manto e 'l serto,
Sol con la spada ei vien

A' varchi infidi cacciano
I tuoi destrieri aneli
Poerio con Mameli,
Manara e Rosarol.

Nero vestiti affrontano
Te del Carroccio i forti.
Tornano i nostri morti,
Tornano a' rai del sol.

De i vecchi e nuovi martiri
La voce si diffonde,
E un grido sol risponde
L'Arno la Dora il Po.

Sola una mente e un

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La leggenda di Teodorico

Su 'l castello di Verona
Batte il sole a mezzogiorno,
Da la Chiusa al pian rintrona
Solitario un suon di corno,
Mormorando per l'aprico
Verde il grande Adige va;
Ed il re Teodorico
Vecchio e triste al bagno sta.
Pensa il dí che a Tulna ei venne
Di Crimilde nel conspetto
E il cozzar di mille antenne
Ne la sala del banchetto,
Quando il ferro d'Ildebrando
Su la donna si calò
E dal funere nefando
Egli solo ritornò.
Guarda il sole sfolgorante
E il chiaro Adige che corre,
Guarda un falco roteante
Sovra i merli de la torre;
Guarda i monti da cui scese
La sua forte gioventú,
Ed il bel verde paese
Che da lui conquiso fu.
Il gridar d'un damigello
Risonò fuor de la chiostra:
— Sire, un cervo mai sí bello
Non si vide a l'età nostra.
Egli ha i pié d'acciaro a smalto,
Ha le corna tutte d'òr.
— Fuor de l'acque diede un salto
Il vegliardo cacciator.
— I miei cani, il mio morello,
Il mio spiedo — egli chiedea;
E il lenzuol quasi un mantello
A le membra si avvolgea.
I donzelli ivano. In tanto
Il bel cervo disparí,
E d'un tratto al re da canto
Un corsier nero nitrí.
Nero come un corbo vecchio,
E ne gli occhi avea carboni.
Era pronto l'apparecchio,
Ed il re balzò in arcioni.
Ma i suoi veltri ebber timore
E si misero a guair,
E guardarono il signore
E no 'l vollero seguir.
In quel mezzo il caval nero
Spiccò via come uno strale
E lontan d'ogni sentiero
Ora scende e ora sale:
Via e via e via e via,
Valli e monti esso varcò.
Il re scendere vorría,
Ma staccar non se ne può.
Il più vecchio ed il più fido
Lo seguía de' suoi scudieri,
E mettea d'angoscia un grido
Per gl'incogniti sentieri:
— O gentil re de gli Amali,
Ti seguii ne' tuoi be' dí,
Ti seguii tra lance e strali,
Ma non corsi mai cosí.
Teodorico di Verona,
Dove vai tanto di fretta?
Tornerem, sacra corona,
A la casa che ci aspetta? —
— Mala bestia è questa mia,
Mal cavallo mi toccò:
Sol la Vergine Maria
Sa quand

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San Martino

La nebbia agli irti colli
Piovigginando sale,
E sotto il maestrale
Urla e biancheggia il mar;

Ma per le vie del borgo
Dal ribollir de’ tini
Va l’aspro odor de i vini
L’anime a rallegrar.

Gira su’ ceppi accesi
Lo spiedo scoppiettando:
Sta il cacciator fischiando
Su l’uscio a rimirar

Tra le rossastre nubi
Stormi d’uccelli neri,
Com’ esuli pensieri,
Nel vespero migrar.





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