Ascoltate!
Se accendono le stelle,
vuol dire che qualcuno ne ha bisogno?
Vuol dire che qualcuno vuole che esse siano?
Vuol dire che qualcuno chiama perle questi piccoli sputi?
E tutto trafelato,
fra le burrasche di polvere meridiana,
si precipita verso Dio,
teme d'essere in ritardo,
piange.
Gli bacia la mano nodosa,
supplica
che ci sia assolutamente una stella,
giura
che non può sopportare questa tortura senza stelle!
E poi cammina inquieto,
fingendosi calmo.
Dice ad un altro:
"Ora va meglio, è vero?
Non hai più paura?
Sì!?"
Ascoltate!
Se accendono le stelle,
vuol dire che qualcuno ne ha bisogno?
Vuol dire che è indispensabile
che ogni sera
al di sopra dei tetti
risplenda almeno una stella?
Voi che passate da un'orgia all'altra,
che avete il bagno e il gabinetto caldo!
Non provate vergogna a leggere sui giornali
le proposte per la croce di San Giorgio?!
Sapete voi, incapaci, numerosi,
voi che pensate al mondo di rimpinzarvi meglio, —
che forse or ora una bomba ha dilaniato
le gambe al tenente Petròv?...
Se egli, condotto al macello,
vedesse a un tratto, crivellato di ferite,
come canticchiate lascivi Severjànin
con il labbro unto di cotoletta!
A voi dunque, amatori di donne e di pietanze,
dare la vita per farvi piacere?!
Piuttosto nel bar servirò alle puttane
succo d'ananasso!
Battete sulle piazze il calpestio delle rivolte!
In alto, catena di teste superbe!
Con la piena del secondo diluvio
laveremo le città dei mondi.
Il toro dei giorni è screziato.
Lento è il carro degli anni.
La corsa il nostro dio.
Il cuore il nostro tamburo.
Che c'è di più divino del nostro oro?
Ci pungerà la vespa d'un proiettile?
Nostra arma sono le nostre canzoni.
Nostro oro sono le voci squillanti.
Prato, distenditi verde,
tappezza il fondo dei giorni.
Arcobaleno, dà un arco
ai veloci corsieri degli anni.
Vedete, il cielo ha noia delle stelle!
Da soli intessiamo i nostri canti.
E tu, Orsa maggiore, pretendi
che vivi ci assumano in cielo!
Canta! Bevi le gioie!
Primavera ricolma le vene.
Cuore, rulla come tamburo!
Il nostro petto è rame di timballi.
Tanto lo so
tra breve creperò
se davvero tu esisti
o dio
o mio dio
se fossi tu a tessere il tappeto stellato
se questo tormento ogni giorno moltiplicato
è per me un tuo esperimento
indossa la toga curiale.
La mia visita attendi
sarò puntuale
non tarderò ventiquattr'ore.
Ascoltami
altissimo inquisitore!
Glorificatemi!
I grandi io non li tratto da pari a pari.
Sopra tutto ciò è stato fatto
io piazzo un nihil.
Non voglio mai
leggere niente.
Libri?
ma che libri!
Una volta pensavo
che i libri si facessero così:
arriva il poeta,
dischiude come niente fosse i labbri,
e subito prende a cantare il sempliciotto ispirato -
ma prego!
E invece risulta
che prima di mettersi a cantare,
si cmmina a lungo, straincallendosi per il tramenìo,
e adagio sguazza nella melma del cuore
la stupida tringa dell'immagginazione.
Mentre si tiene a bollore, strimpellando rime,
una broda di amori e d'usignoli,
la strada si contorce senza lingua:
non ha con che dar gridi e conversare
torri babilonesi di città
noi torniamo a innalzare insuperbiti,
e Dio
le città in campi arati
dirocca
rimescolando il verbo.
Vladimir Majakovskij e' stato un poeta e drammaturgo sovietico, cantore della rivoluzione d'Ottobre e maggior interprete del nuovo corso intrapreso dalla cultura russa post-rivoluzionaria. Nel 1911 si iscrisse all'Accademia di Pittura, Scultura e Architettura di Mosca dove incontrò David Burljuk, che, entusiasmatosi per i suoi versi, gli propose 50 copechi al giorno per scrivere. Majakovskij aderì al cubofuturismo russo, firmando nel 1914 insieme ad altri artisti (Burljuk, Kamenskij, Kručёnych, Chlebnikov) il manifesto "Schiaffo al gusto del pubblico".