Ostaggio ti ho a me avvinto,
vetta infrangibile e recondita,
che di antichi echi
di saggezza e inviolabilità
demiurgo sei e matrona.
Mia sei,
ignara di esserlo,
in forme confuse ma superbe
di sogni e pensieri,
prima ancor che in quello sguardo,
che in strenna mi comparve,
dalla scalpitante caverna
d'un infinito dal silenzio dipinto.
Comprender non si può
la voce eterea della montagna,
se la nuvola non si serba dentro,
del conquistare per conquistarsi,
del raccontare per raccontarsi,
del negarsi,
per ritrovarsi leggerezza,
ghiacciaio,
alito di sublime freschezza,
nella mano dell'ineffabile
soavemente racchiusa.
Scalata non vi fu mai,
in cui picozze, ramponi,
corde
cesellare e narrare non seppero,
il canto endemico e sovrano
che dalle ugole promanava
di rocce mai decomposte.
Eccoti, K2,
vergine di basalto e storia,
che come Madonna riluce,
nell'indisturbato fiorire e regnare,
di questa orgogliosa cima.
Estasi di raggianti alpini,
si sale e si spera,
quante tende luccicanti scorgerai,
lungo il nostro coraggioso cammino,
di quel coraggio
che la paura seduceva
fino ad annullarla,
tra le nuvole urlanti delle altitudini.
Osserva, te ne prego,
la sommità,
ancora rinverrai la scia dei nostri occhi
di nuove, esaltanti conquiste
intrisi e ribollenti,
schiavi eppur padroni,
di queste imprese ardenti.