Anche oggi mi chino, mi ritiro,
egli se lo enunciava.
Non ho oziato all'onere mio,
fiero si proclamava.
Ho reso il dardo d'albore,
da emanare all'astro che "Lui"
m'affibbiato d'irradiare.
Ognora, in ogni tempo,
faceva notare.
Comunque il cambio era vicino,
il suo calar diurno realizzar si doveva.
Aspettar più non poteva.
Ma dove s'era cacciata quell'altra?
Dai su, la chiamo io, pensò.
Il suo ultimo ramo di lucore fece impennare,
cenno le fece di succedersi.
Giungeva il giro.
S'accosto lei, ma la vide strana,
quasi contumace.
"Son giunta al culmine!" ella pronunciò.
"Non son più all'altezza!" continuò.
Il perché, le chiese grazioso lui quale era.
"Buiore m'han dato a me! Veglio sull'assopirsi,
non scorgo nemmeno il vuoto
dal cupo bigio che c'è al di sotto mio."
Non rispose lui, ascoltò si.
"A te solo l'incarico più armonico.
Spumeggi la fulgidezza, rendi all'allegria
L'indole di chi rendi raggiante
Al cospetto tuo.
Cerimonie io ho soltanto quando
son Piena e Tonda!
Tu fai e puoi tutto!"
No sorella mia! Egli fece notare.
"Io non posso tutto!
Da secoli non posso mai la più
Aggraziata cosa.
All'uomo d'imparar a spumeggiar
come me d'immenso
verso la donna,
convenevole compimento!
Ma in ognora, in ogni tempo che ci provo,
sembra che il bruno e corrucciato tuo
qual governi sia più adatto al
comportamento suo.
L'uomo solo di polpa pensa,
nemmeno d'un petalo d'orchidea
sa che farsi!"
Stanco son ora, le disse.
Domani mattina sul presto
svegliami tu.