Ritorna il figliolo, è malato:
è stanco di vetri parlanti,
ha nausea dei volti dispersi
su schermi, di fumo e assordanti
città. Solo un vento discreto
lo guida al paterno querceto
che come anni addietro lo accoglie,
sfoggiando al suo incedere un lieto
sorriso di rami e di foglie.
Ricorda di voi, che gli deste
la vita, quegli occhi profondi
sí simili ai suoi ma diversi;
e quante le favole e quanti
perdoni e speranze immutate
di fronte al suo male voluto,
ai vizi, alle cieche proteste.
Nell'ora già tarda lo aspetta
sull'uscio d'antica dimora
la dolce e minuta servetta,
l'ennesimo bacio segreto.
Nell'atrio risplende il camino
che monda la gelida morsa;
allegro solleva l'orecchio
il can che riposa vicino
e che, non sapendosi vecchio,
si presta a una rapida corsa
per dare un fraterno saluto.
Riposa il figliolo, sapendo
che fuori ancor prospera un mostro;
si china sul foglio, inseguendo
un soffio di vita nei versi,
la pace in un segno d'inchiostro.