Stanotte ho sentito i singhiozzi.
La città non riusciva più a trattenersi.
Non c'era nessun cambiamento apparente,
tutto era al suo posto, strade,
lampioni, solitudini, disperazioni.
Eppure la città piangeva.
Per te e per me, per l'amore, per la paura.
Allora ho cominciato a correre.
Con le lacrime agli occhi mi sono lanciato
sulle terrazze, sugli alberi, sulle nuvole
sulle stelle, volavo con le mani, con i piedi.
Non volevo, supplicavo, non volevo essere raggiunto
dall'angoscia che ansimava poco distante.
Su Saturno ho visto un'ombra sdraiata,
petto che si sollevava e si abbassava,
braccia irrigidite orizzontali, ma il corpo recitava.
Su Nettuno un'altra, le dita artigliate davanti a una maschera,
correva un'orbita, denti e mandibola senza volto.
La mia mente a ritroso nei secondi, pellicola arrotolata
e i fotogrammi nelle cellule nervose
a scosse, a scosse, a scosse.
Ho continuato la mia corsa senza fiato, il mondo nella mia testa
non si dava pace, fino alla cintura di Orione
in mezzo a stelle blu, giovani, luminose, caldissime.
Finalmente su Aldebaran mi sono fermato.
Lì ho purificato il mio animo inquieto nell'immobilità vitrea della coscienza.