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Il gatto

Son 12 anni
dall'ultima volta
che ho messo in versi
una sensazione.
Ecco che ne avverto ancora il bisogno.
Non è più malinconia.
È qualcosa d'altro.
È dover fermare il tempo,
incidere un sentimento
nella carne.
A fondo.
Come se la penna
fosse una macchina per tattoo.
Ho rischiato di concedere all'oblio
capelli
e occhi corvini
di una bellezza demoniaca,
di una Lilith
infantile e pudica e irraggiungibile,
sorgente dei miei rimorsi più acuti
e di rimpianti maledetti.
Maledettamente recidivi.
Maledettamente fatali.
Veleno
che mi ha restituito all'amore
e alla consapevolezza
di saper amare.
Memoria d'estasi -
timida voce
paure e lacrime da fanciulletta
mani caute e materne
e quel che più ho terrore svanisca:
l'odore di una pelliccia da cappotto
nell'attimo di un abbraccio
che ci togliesse il fiato
pur di procrastinare il nostro
addio -
t'ho ravvivata
riscoprendoti nei volti
di tue infelici imitazioni.
Eri un quadro senza cornice...
o forse il contrario.
La tua eredità son incubi
e timori assurdi
... ma in fondo sei un demonio.
Non ho mai avvertito un così grande gelo
da una creatura tanto inerme.
Succuba
delle mie notti brave e deluse,
allucinazione perversa e immortale,
pensiero virgineo e immorale,
mi hai riservato la sorte cattiva
dell'artista che celebra,
del Pigmalione in catene,
la sorte dello stupido Sisifo instancabile,
del gufo
e del gatto
che osservano dal trespolo,
della notte nera che veglia.
Son diventato sordo alla musica
che regge i nessi logici del mondo.
O mi chiedo se sia stata solo
un'allucinazione.

 

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