Tra urla di rifiuti ormai inutili,
e ombre decomposte di primitivi,
obliati utilizzi,
gemo e fremo,
il mio respiro innocente
ancor non ebbro di consapevolezza
tra spilli di consumismo immutabile giace;
giace, sì,
punto da una colpa non colpa,
quanto grandi si scorgono già i miei occhi,
poco ancora, per percepire
la delicatezza precocemente infranta,
d'un esistere che potrebbe presto
conoscere il suo sinistro finale,
ma spalancati quanto basta,
per maledire inconsapevolmente,
chi bambino non mi disiò
dimentico del virgulto
ch'un tempo andato fu ruggito in lui;
o mano sempiterna di Dio,
dir non so, ma a saper anelo,
senz'ancora esser nè pensiero nè parola,
se anche per me ti calerai
tra i fetidi, incomprimibili miasmi
di quel cimitero ribollente di rusco.
Ma fa, te ne prego,
che la tua voce mi sia culla,
verso il mondo se vorrai,
oppur e se pur troppo presto,
tra le tue braccia di carezzevole cera.
E a posseder insegnami
come basaltica certezza
quella roccia che ha per nome perdono
verso chi avendomi creato
poi mi maledisse,
folle e irresponsabile,
lasciandomi intirizzito e abbandonato.