Fra scheletri e coltelli,
fra interiora e dentiere,
nel nido di spine
in cui sete e angoscia
fanno nascere la febbre,
il mio ultimo sogno
sibila e sanguina.
Sono il vagabondo
senza latte nè miele,
la lettere d'amore in fiamme,
la conchiglia sull'asfalto.
Da me fuggono la pioggia e la penombra,
prostitute e banchieri mi assediano.
Ho bisogno di papaveri melodiosi,
di cavalli ariosi e acque lunari.
Fra ragni ed assenzio,
fra croci polverose e piatti sporchi,
tornerò alla cecità salata
della Terra,
senza più alfabeto nè maschere,
senza più fucili alati
a oscurare il cielo
del pomeriggio.