sono un cavallo di Bruges imprigionato
tra mura di concetto,
giovane come l'Italia,
ma vecchio mille anni e più
e il trotto legato ad una corda
mi limita,
la forte zampa muove lo zoccolo dentro distese recintate,
guardo le case e le montagne rigogliose
al di là del muro
e io non sono più io.
sono quel vento gelido che gli si insinua nelle ossa
al direttore,
i suoi occhi sono fermi e le sue mani
contano soldi e minuti;
sono la nuvola di cotone, ora gialla ora blu,
che vagando si disperde in mille storpie figure
(sembra la testa di un asino o un bambino supino
con le braccia che indicano il cielo);
sono la vasta linea che sancisce l'orizzonte,
al di qua giacciono cose mediocri,
cose legate alla corporalità,
si sente puzza e gli animali arrancano
con pesi da portare,
oltre regna la pulizia, mani pure trasportano
pensieri puri in pure pagine bianche,
è il regno di Verlaine e Montale e di Vincent Corbo.
poi come un'antica mistica che si sveglia dal torpore
muovo le mie mani umane in cerca di un gingillo;
le mie mani toccano l'accendino
con famelica voglia, toccano forchette
e carta igienica e mammelle,
la condanna a un esistenza bieca
molte volte sta nella fuga materiale del piacere.