il robivecchi è pieno di scatole di latta,
non sono scatole inutili,
sono il mio coraggio
e io scendo attraverso scale
che portano all'inferno,
scendo sempre più giù,
sempre più giù,
fino a trovare qualcosa
come una lacrima secca,
della quale non è rimasta
che un etereo alone di colla salata.
ora le donne sono immobili
nel pomeriggio,
luccicanti
come gli occhi di uno sfuggevole cerbiatto,
e attraversano la mia testa
senza chiedere permesso,
tutte le donne della mia vita,
tutte le puttane
e tutti gli angeli.
attraversano me
e dentro me si posano,
sono le congiunture dei miei nervi,
i vasi attraverso quali passa il sangue,
le striature sulle mie ossa.
il coraggio se n'è andato
e l'amore se n'è andato,
e io sono solo, in un angolo,
a contare le crepe dei muri,
le rughe che segnano gli alberi,
ma questa non è una supplica
ed è lontana dall'essere un lamento,
è piuttosto una fotografia
o il risultato di una Tac.
io giro a vuoto e scendo,
dove le fiamme mi bruciano i talloni,
le donne sono state un miraggio,
una promessa illusoria,
e ora, nel vuoto di una stanza disadorna,
solo,
cancello tutte le ambizioni e tutti i vezzi,
sono un inchiostro simpatico,
ma il dolore è indelebile,
quello no, quello non si cancella.