Nel primo buio della sera
quando la notte
si avvicina al pomeriggio
immaginavo la vita
nei quadrati di luce
dell’università
oltre gli alberi del giardino
dove il neon vibrava
fra penombre vuote e immobili.
Seduto all’indiana
con le mani sotto il mento
diviso tra finestra
e Dupont a un canale solo
vibravo anch’io come luce fioca
nella penombra del salotto
accompagnato altrove
dalla tivù che cantava:
“Vedrai com’è bello
lavorare con piacere
in una fabbrica di sogno
tutta luce e libertà”.