Sei lo sputo dolce di un’ortica
che m’ammalia di zucchero filato
appiccicandomi la faccia
mentre rotolo
in uno spinoso prato di nebbie
quadro futurista,
dai grigi confusi.
sussurro mai iniziato
che sfuma dolcemente
sul mio canto
ormai finito.
Non era quel che intendevo dire.
a volte mi sembra le mie parole scivolino giù
strisciando sui muri, come gocce di condensa.
immobili nella folla che non vediamo,
diventiamo ciechi,
come fosse una coltre di tenebra foschia.
in un posto conosciuto
visto altre mille volte
saprei dove andare nonostante la scarsa visibilità
ma l’ignoto mi fa tremare all’idea di un solo passo.
L’amabile vento, con gentilezza
per distrarmi,
mi racconta le sue storie
Quanti bambini ha udito piangere disperati,
perché i loro palloncini erano volati via con lui.
Quante signore, tutte agghindate,
rincorrere i loro cappelli di paglia,
che per dispetto lui aveva fatto volare via.
Quanti colorati aquiloni
gli avevano tenuto compagnia.
rimango immobile ad ascoltare le sue storie
Che mi cullano come lievi carezze di capelli
sulla schiena.
Non una parola parlava di me
Ma io voglio penetrare a fondo.
come un raggio di sole
che intacca cucinando
la melanina,
sotto la pelle.
non voglio essere
solo la goccia di pioggia che
scivola addosso
e che presto verrà dimenticata.