Oh uomo,
Chi ti infuse tanta sete di raggiungere ciò
a cui non sei destinato ad arrivare,
il polline più luminoso che le tue dita
non sono autorizzate a cogliere?
Oh Icaro,
Chi insegnò ai tuoi occhi a guardare il cielo,
ad ammirarne i lontani e dorati tesori;
come pensasti di sfiorarli con le tue misere mani
che altro non toccano che la nuda terra?
Oh Icaro,
Chi fu più raggiante di felicità che tu,
mentre le tue ansiose mani erano aperte
per abbracciare l’infinito e la tua anima,
come una corda d’ arco, tesa verso il cielo terso?
Oh Icaro,
Cosa provasti quando i tuoi piedi si staccarono
dal natio suolo per librarsi in spazi immensi
senza bussola né timoniere
e il tuo volto si illuminò del rosso calore di Elio?
Oh Icaro,
Cosa la tua bocca avrebbe voluto gridare
quando il tuo cerato sogno si sciolse
di fronte all’infinito e incominciasti la caduta
verso il nero ed eterno abisso della morte?
Oh Icaro,
Che espressione aveva il tuo viso mentre vedevi
il gran medaglione dorato allontanarsi e,
con un ultimo spasmo, tesi ancora
il braccio dolente nel vano tentativo di afferrarlo?
Oh uomo,
Il gorgoglio del mare occluse per sempre i tuoi arditi occhi,
contrasse in eterno le tue mani avide di conoscere,
Soffocò la tua giovane voce
E trasformò il tuo dolce viso in una sfatta maschera di dolore.