Noi, noi strani individui per la gente normale,
noi alchimisti delle parole che trasformiamo
i quattro elementi primordiali
(Acqua, Terra, Aria, Fuoco), in scaglie d'oro
che brillano al sole dell'estate o
luccicano nella neve dell'inverno,
noi che non temiamo il Giudizio Universale
del Tribunale dell'Inquisizione,
né il giudizio irrirverente e dissacrante
di un tribunale popolare,
e nemmeno il giudizio devastante
delle nostre stesse anime,
noi che seguiamo il pifferaio magico
non come ratti dietro ad un suono,
ma come gatti innamorati
che guardano la luna,
noi che conosciamo più di altri
le sofferenze della fine di un amore,
noi che sappiamo vestire di seta pregiata
la nascita di un amore e il suo dispiegarsi,
noi che conosciamo l'amaro sapore delle
lacrime sulle nostre labbra,
noi che nascondiamo negli occhi
i silenzi di un'infanzia rubata
e i tumulti di un'adolescenza solitaria,
noi che sappiamo gioire per gli spettacoli della natura
o indignarci per le follie dell'uomo,
noi, noi c'eravamo quel giorno,
quel giorno in cui, zingari e gitane
provenienti dalle strade polverose e insicure del mondo
abbiamo cantato i nostri inni al dio dell'amore,
quel giorno in cui abbiamo visto i nostri sorrisi
colmare i vuoti sedimentati dal tempo
e in cui le nostre braccia hanno circondato
storie e vite sgorganti da cuori pulsanti,
quel giorno in cui abbiamo misurato
la distanza tra i nostri occhi e le stelle,
quel giorno in cui, ebbri di vino e di amore
abbiamo visto, forse per la prima volta,
anche degli zingari felici.
Ringrazio la mia amica Nel per avermi dato lo spunto con la sua poesia "Ritorno a casa", per scrivere queste mie riflessioni.
Grazie, dolce Nel.