Non attendono più
i miei occhi avidi
che il cerchio di dissolva
tra le fauci di se stesso
Il prossimo tonfo
dal lancio annoiato
è dissimile
e sfibrato
e breve….
Singhiozzi
e pause
catturano vene
come Aria
suonata in una casa diroccata,
dolci meraviglie di cadenzati battiti
in cembali generosi
e voce di donna,
strumento di fata
avvolgente spirito sconnesso,
disperata dolorante preghiera
Tra i rami della luna
che dona sonno dimenticato,
gli insetti dalle ali di seta
tra le loro scintillanti evoluzioni
disegnano nomi dal cristallo evanescente,
si fermano solo per attendere
l’archetto sulle corde,
tese nel metallo vibrante,
uniche formule magiche
rimaste al ricordo,
dalla memoria simultanea
a quella di un sole,
sorridente, nascente bambino
posato al centro dei miei cerchi
in dissolvenza con l’ultimo
fiato di fata,
con l’ultimo tocco
d’archetto