Entità: partiture scandiscono il tempo,
pietre d’un rosario ch’è quieto rapporto;
rattenute, da fotogrammi di giunco
d’eterno istantaneo.
L’infanzia è un verde d’arbusti
diverso dal virtuale di ieri.
Proiezioni dell’io: riverberi di centrifugo prisma:
uomo.
Rivolgiti indietro e l’altro contempla che tu più non sei.
Osserva straniato il brandello di cosmo presunto,
d’unità concentrica e falsa:
sei tu.
Sei tu a viver d’un Sacro che tacito osserva,
più non trovato.
Cercato, nel fondo di domani ipotetici,
cunicoli d’ombre di demoni astrali che gli altri
al te stesso di oggi involano truci.
È il tuo (suo) destino- e non adombra sorrisi-
morire d’istanti nel mutismo del dio
dai sensi sopiti e gli occhi sdruciti-
pendule palpebre i gigli lambenti
di collo sidereo.
Morire ogni sempre dai riverberi ucciso dell’io;
il prisma prilla indefesso, al rantolo insino
ch’è spegnersi stanco.
Resta, che cosa?
Il brivido, è detto, di rotante follia.
Rinvenite ora il senso nel viaggio,
dimenticate, voi- così lineare-
la meta-
od il suo spettro di carni ed umori