Quando io ti raccontavo
le mie piccole “pene”,
Tu mi aprivi
il tuo cuore.
Tu avevi in fondo al cuore,
una ferita
che si acuiva,
quando ne parlavi.
E sempre risalivi a
un vecchio esame
Che ebbe condizionato
la tua vita.
Rivedevi la cattedra,
un cerchio di persone…
e, infine, la più arcigna,
lei, che ti interrogava:
ti fece una domanda,
tu rispondesti bene.
Ma quella ti diceva:
“Tu sbagli! ”
E un quattro ti metteva
e dopo, commentava:
“Questi stranieri,
sono tutti uguali:
voglion togliere il posto
agli italiani. ”
Con l’animo in tumulto,
dal preside accorrevi,
gli raccontavi tutto:
“Vediamo, signorina, se il voto
è scritto a penna oppur
con la matita... ”
Quindi, ti accompagnava:
spiccava in nero inchiostro
dentro al registro, il voto.
Da allora...
Tu imparavi,
quel che dicevi a me:
che le persone infide
pressano sulla carta,
la scrittura.
Ma, Tu, figlia della Germania,
che avevi sposato un Italiano,
e amavi dell’Italia la poesia,
tu eri anche italiana, zia Maria.