Pavimento di roccia
nel centro storico
di un paese
al di fuori del mio,
non è molto distante
dalla campana città
ove è una gabbia di
cemento per me e le
mie poesie che rimangono
incollate al fisso e inamovibile
mattone.
Qui mi sento libero
-molto libero-
questo è un borgo
ma tutt'intorno
regnano silenziosi
gli alberi, padri nostri
e i suoi figli non urlano
o piangono come i neonati
bambini appena nati,
sono felici di esserci, essere
parte viva di un mondo ormai
alla futura e predestinata
morte; non moriranno o
patiranno perché sono sempre
vivi nel nostro certo spegnimento.
Forse sarei stato un buon poeta
se avessi vissuto nella
soave, candida e viva natura,
avrei osannato il falco e il lucherino
e non avrei rimpianto i vecchi tempi,
non avrei scritto poesie crudeli e civili
verso la mia società che vende
la madre per riempire di un bottone
lo stomaco, avrei amato mia moglie
sinceramente senza egoismo, ma
altruismo, sarei stato beato e
glorificato dalla semplice e comune
gente di questo villaggio.
Avrei forse scritto qualche
sanguinoso verso contro
il papa che uccise l'altro,
qualche lunga strofa contro
le quattro sorelle che
avvelenarono il fratello
per un maledetto castello.
No, No, No.
Non voglio ammetterlo.
Sarei stato sempre un vile poeta.
Vorrei dire che sarei stato
un'artista con versi uscenti
dal becco e non dalla penna,
versi del falco e del lucherino.