Seduta
su una pietra secolare
che l'erba del campo
sfiora,
persa in ore senza tempo,
al primo tepore
di primavera,
rilasso i nervi,
disegnando voli
obliqui
d'aquiloni immaginari
nel cielo terso.
In overdose di sole,
lontano m'appare
il mondo,
quando, all'impovviso,
dal serpentone
d'asfalto,
che in due parti
divide la collina,
il rombo di un motore,
spezza l'armonia.
Un attimo
è bastato,
la serenità
fugge sul sellino
di quella moto.
Ritrovo il sorriso,
seguendo con lo sguardo,
un merlo,
che raspa con il becco
fra l'erba
e s'nvola poi
verso l'edera,
del muro antico,
dove la compagna
lo attende,
preparando il nido.
L'infinita, idilliaca
bellezza della natura,
colma e mitiga
il vuoto doloroso,
che sento.