Strizzo i miei assurdi cieli di cobalto, stillandone via il fiele che mi consuma, bevendone poco a poco l'odioso aroma, l'amaro veleno.
Per diventare forte, per diventare altro.
Stanco di remare sul mio triste natante, m'accingo a prospettive nuove, valicando i confini che furono d'Eracle, travisando le correnti indomate della mia capricciosa rotta.
Sulla mia bianca scia di rancore rivedo il tuo volto dolce, l'amato seno, la sfinita compassione del tuo sguardo.
Bevo ancora l'amaro fiele dalla favolosa coppa, mi inebrio al sapore acre del mio rimpianto inutile, strappando dai brandelli del mio stomaco lacero l'ineluttabilità delle fine.
Non so come amarti: sono un uomo, solo un uomo, ciò che vedo è che son solo.
Sputerò tutti i miei pregiudizi e le dannate falsità, sarò migliore, cadrò nuovamente, malato e decadente come un gabbiano affamato che si ingozza di pesce marcio, vomitando e poi morendo.