Vorrei una sirena per cui piangere,
un'amore sepolto nel mare
e guardare le stelle colare
le echi sgualciti delle sue grida,
l'agonia acerba brutale
della mia sirena lontana.
Nella mascella siderale della notte stanno
i suoi occhi, i fiori più flebili,
versano un fiume oblungo di dolore
sul sipario virulento
dell'oscurità terrestre,
il suolo è deforme:
vi sono occhi enormi, orecchi
ed organi rossi pulsanti
tremanti nel buio freddo e sporco,
a me discesi in macabro prestito
per inghiottire la tortura,
nello squarcio stomachevole dell'anima
penetra come da un imbuto la fiele
della sera crepitante,
rivolo lucente e letale
seppellisce l'anima gracile
e si raccoglie in tempestata bruma,
scava supplizi lo Stige ribollente
brucia nel letto arso delle vene
dirompe, incrina i volumi, morde la carne,
le acque nere annegano
i giardini celesti
come cuccioli.