Le spire del drago vennero recise
dalla spada infuocata
eretta dal suo stesso respiro.
Lisbeth si chiuse gli occhi
con le sue dita di giunco,
aveva paura delle fiamme...
lei che col fuoco aveva giocato.
Esile creatura,
principessa senza regno
in castelli di carta velina.
Compresso il petto
da cinghie di cuoio,
fumo nero sul viso,
come gli occhi suoi di pece.
Sul letto d'acciaio
la mente si dibatteva
in un vortice,
la pazzia d'altri
l'avrebbe uccisa.
Violato il suo corpo,
usurpati i suoi pensieri,
vittima e carnefice
di una vita non sua.
Svanì il senso di vuoto
la mente tornò a giocare,
i tarli del passato
divennero libellule,
l'acqua di fonte
lavò via il fango,
la verde poltiglia si sciolse,
mentre la pelle sua ritrovò respiro.
Sola sulla via a tracciar sentieri
ad udir il bubbolio in lontananza
di una voce, un suono
che accompagna il passo,
grandi occhi
affacciati nella notte
vedranno per te
quando stanca incespicherai
nei tuoi stessi arti...
in quelle spire abbandonate
sulla terra arsa.