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Go visto un malandrin

In quel molo chiamato Audace, go visto un malandrin.
Arriva la bora,
e San Giusto scampana l'ora che non c'è,
perché il tempo a Trieste
si è perso nell'eco della vecia Tergeste.
Terrà di caffè,
tra un nero ed un capo,
ma anche un capo in b,
si fa largo
dal frenetico letargo,
il dialetto
tra chi cerca la coscienza di Zeno,
chi ascolta i passi della Gente di Dublino,
e chi legge sui giornai, robe false ma vere,
nei versi di quel Cergoly,
ora dimenticato,
ora amato,
ed adesso eccolo qui.

Trieste,
in quel bordello di via Cavana
corre corre con lentezza
la carovana
sempre in viaggio,
anzi, anzi
alla ricerca dell'ancoraggio
nel porto vecchio
dove abbandonarsi
semplicemente è,
sì,
è bello.
Qualcuno dice che il dialetto
xe la forma de espresion più dolze che ghe possi esser,
altri che non vi è più un tetto per una lingua
dialettale
nell'epoca della città globale.
Eppur a Trieste go visto un malandrin,
che osserva Miramare,
e no sa cosa fare,
perché ora a lavorar
non ci vuole proprio andare.
E dunque sì, mi son un malandrin,
perché son libero nella terra di non più confine
di salire per le vie del Carso,
toccar la neve delle Alpi Giulie,
e sfiorar l'Est Europa,
per perdermi nell'adriatico Mare,
in una vita solo d'amare.

 

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1 commenti:

  • senzamaninbicicletta il 20/12/2011 20:29
    xe la forma de espresion più dolze che ghe possi esser

    si è proprio vero! bravissimo

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