Tu che lasciasti il sole
e le case imbiancate di calcina
e l'idioma avito
masticato sulle braccia materne;
tu che affrontasti oceani ignoti
e lingue ancora più oscure,
da schiacciare tra i denti
memori di dolcezze abbandonate.
Tu cuore d'emigrante
con la tua segreta pena
da impastare nel lievito dei giorni,
tu che cantavi i melanconici stornelli,
li sciuri sciuri e zagare lontane
ti visitano in sogno
col roseo colorito delle donne,
orfane dei tuoi baci,
sedotte e abbandonate,
senza coltivare la speranza
d'essere un giorno
di te madri ed amanti.
Tu che nel vago limbo di parole
sussurri il tuo lamento
cercando come alleggerire la pena
di questo esilio coatto
accolto come giudizio inappellabile,
al quale, tuo malgrado,
i polsi porgesti
come d'agnello muto.