Il lavoro si dilegua sghignazzante
fino alle fauci arrugginite,
di un cielo mascherato di piombo,
scorgo gemente,
sul fondo sconnesso del mio mare,
il rantolio di un'esistenza rattrappita,
ieri il bagliore delle risate con i colleghi,
il basaltico conforto di una scrivania,
su cui scrivere la sinfonia
del sacrificio e del pane guadagnato,
oggi il graffio d'avvoltoio,
il gracchiare del pensiero,
che tutto questo non è che
profumo di ieri che più non si fa stringere.
Ti sento, meretrice di una noia,
mentre ti sdrai compiacente e irriverente,
nel salotto impolverato dei miei pensieri;
scherza con un'indifferente danza di luce,
da un lampadario ormai consunto,
l'immagine della mia ultima busta paga,
cigola come una porta mal oliata,
la lettera di licenziamento;
"ci dispiace, questo è il mercato,
abbiamo avuto una contrazione di commesse,
abbiamo necessità di tagliare,
le auguriamo di poter presto ricominciare".
Ricominciare, sì,
ma da che?
Quanto seducono le ripartenze,
finchè non ne assapori
il loro raro concedersi,
il fantasma che spunta
da un ascensore di vento,
di un amore che provò a volare
ma a cui nessuno disse
che le ali o le si possiede nel cuore
o non vi è mercato di illusioni
a cui le si possa acquistare;
ricominciare,
dall'urlo delle pagine
del libro che scrissi;
no, solo lui adesso mi osserva
mentre affogo il mio sguardo abulico
tra le labbra asfissianti della televisione,
è lui, il balcone;
la mia missione di veglia,
altro non sarà
che promettere a me stesso,
di non cedere al suo risucchio,
vincerà, lo sento,
l'aquilone dorato della vita,
su questo mio insano desiderio
di concedermi a un volo,
che non mi regalerà altri voli.
Ho un'esistenza da giocare,
sono un'anima in ricerca
non un pezzo di cartone
che il destino possa scalciare,
questo ti dirò
senza che tu possa impadronirti,
della mia ribollente prostrazione
stupido, insensibile,
eppur invitante balcone.