Affido ansimante
il governo dei miei passi fieri
al respiro demiurgico
delle gambe che mi sono spose
fin dai respiri d'esordio;
c'è una vita da sfidare
tra i confini di un umano sudore
e quelli di un insidioso fango,
corsa contro i morsi di squalo del tempo,
o forse contro me stesso soltanto,
correre per scoprirsi,
forse per immaginarsi,
più veloce dei giorni che placcano
come amebe inferocite,
il concerto delle nostre attese;
le urla della folla,
sono rami che si flettono
a indiavolata ed emotiva carezza,
su questo cuore che scalpita
aritmico e ribollente,
implorando la dama del traguardo,
di inchinarsi a lui ancora una volta;
Cosa sarà mai
una mia inattesa vittoria
un dardo infuocato
scagliato tra l'ironia e l'orgoglio
nel ventre freddo della memoria,
o rivelarsi magari saprà,
il beffardo incunearsi di uno scoiattolo,
tra i rovi impietosi del bosco,
facendosene beffe,
e sorridendo a ogni tagliola beffata?
Ed eccomi qui,
un'altra partenza mi apre le braccia,
mentre prati impotenti
si concedono all'abbaio
di un ringhioso gelo invernale;
sono italiano,
forse etiope, keniota,
sono ombra di corridore,
o irrefrenabile incedere di gazzella,
pasto sempre prelibato,
per gazzette fruscianti
e assetate di record frantumati;
si srotola e pavoneggia come sempre
il film della corsa campestre
elegante e raffinato
come un cavallo andaluso
ma in fondo così magicamente
teatralmente proletario
quando sorseggia con rapide falcate
l'aroma dei campi di grano
che fotografa compiaciuto con lo sguardo;
domani un'altra pista mi prenderà per mano,
e altre medaglie lucchicheranno da lontano,
ma ogni corsa è già un dipinto di vittoria,
che consegno sorridente,
alla tela mai satura della mia storia.