Amato, fedele diario
mi rinvieni qui,
solo, prostrato, incapace
di prestarti come sempre
l'ombra di una fiera penna
perchè tu possa cesellarmi il domani;
ero impiegato,
da stamani mi chiamo precario,
tra me e il desiderio
di un risucchio che mi neutralizzi i respiri
solo il respiro indifferente
di un piccolo binario;
sarebbe buffo, se lacerante non fosse
da piccolo il mio sguardo ribollente
come un amorevole collezionista di emozioni
raccoglieva passaggi di treni
morbidi ma incandescenti;
su di essi, come carezzevoli metafore
dolci pur se indefinite,
i miei intarsi sul futuro,
famiglia da adorare,
e il riparo d'un lavoro sicuro.
Adesso brilla
come una vipera traditrice
inafferrabile nel suo color metallo
il bagliore assassino
di una lettera di licenziamento;
binario,
mi stai vedendo, lo so,
ma non mi puoi sentire,
insegnami che non è finita,
che il giorno che mi attende
è occasione per ritrovare un impiego
e riqualificarsi l'essere
e ciò che resta della dignità,
e mai dovrà essere,
un'occasione per invitare a cena,
la ragnatela del proprio desiderio di morire.