Schiavo per nulla gemente,
di un armonico,
lento, estasiante intersecarsi,
di canali che sorridono
alle occhiate furbe e magniloquenti
di un sole che frusta la terra,
il velo ti scopro
come matrona austera
di terra rapita sapientemente,
all'urlare inondante dell'acqua;
ti scorgo, Amsterdam,
come festa germogliata tra i poulders,
mentre un fascio di nuvole,
si inchina per baciarti,
e poi adempie la sua missione
del sempiterno dileguarsi,
per non umiliare il tuo sorriso;
mi aggiro traballante,
tra i passi un filo tenue,
di caldo disorientamento,
tra il bagliore e gli odori,
dei tuoi multiformi coffee shop,
scintilla piazza Dam,
come una bimba che scopre
il fascino della propria identità,
mentre altre le danzano intorno,
accecano le rosse vetrine,
che lungo acque indifferenti ma dolci,
ricamano sulla pelle di turisti o indigeni,
l'illusione di un amore,
fisicità disimpegnata e selvaggia,
incontro tra nomi che non si conoscono nomi,
morire di donna,
tra luci di follia.
Ma i passi mi chiedono di non fermarmi,
eccoti,
da qualche parte del cuore
un pranzo di baci avevo preparato,
per il tuo incontaminato profumo,
sublime, immortale mercato dei fiori;
non vi coglierò
che con uno sguardo indegno di ritrarvi.
e impaziente di ospitarvi,
nella stanza sempre assetata della sua memoria,
inviolabili estensioni di tulipani,
che hanno uno stelo orgoglioso per mano,
e mi conducono in inesplorato viaggio,
tra i sentieri che sanno di carezze,
delle tele di Van Gogh.
Nel mio pensiero entrasti lenta,
come le biciclette che accarezzano,
le tue strade avvinte nella quiete,
lasciami di te anche un sol sospiro,
dolce Amsterdam,
e saprai dimorare eterna,
storia millenaria,
nella mia piccola storia.