Ti attendo,
mi rivesto di innocente tremore
per cenare con i tuoi movimenti
così sapientemente irregolari,
fantasma ribollente del mio inconscio;
tu che il segreto decifrasti
del rapire sornione e impietoso
i fotogrammi scomposti delle mie notti,
mi liberi dal nascondiglio,
dove mi compiaccio di nascondermi;
tu,
soldato mai domo e prostrato,
del primato seducente dell'irrazionale,
invito il silenzio
ad annullare le mie parole;
salgano sul palco gli occhi,
con le loro traiettorie a me ignote,
chè quando scelgono di serrarsi,
allora soltanto,
si spalancano davvero.
Erompe l'urlo del sonno rem,
con la sua arlecchinesca acrobazia,
di montare e smontare,
ogni santuario della logica,
inviolabile nell'assopita veglia,
inestirpabile
da un avido carcere neuronico.
Non tingetevi impietosi
del colore sfuggente dell'abbandono,
divagazioni oniriche
per le quali a conoscermi imprendo,
oltre il mio minuscolo conoscermi;
lucidate le stanze polverose
della mia anima disordinata
con i fotoni inafferrabili della vostra essenza,
impugnando la vostra daga lucente,
contro la liturgia dispettosa,
delle mie vili rimozioni.
Ti aspetto,
sogno,
come sempre, come mai,
regalami il calco incancellabile d'un bacio,
non sbattere la porta,
quando
allo schioccare di dita dell'alba
mi abbandonerai.