Mi agito
nervoso eppur orgoglioso,
tra il fruscio superbo
dei vecchi codici su cui posai,
le impronte dei miei sogni ancora abbozzati;
all'orizzonte lei,
una dea che chiedeva,
di lasciarsi disegnare piano piano,
"sono la giustizia"
mi sussurrava solleticandomi
le orecchie e il cuore,
"sono la magistratura,
ti insegnerò a decidere,
con il tocco dolcissimo,
della vera, inattaccabile equità,
abbi fede in te,
e nella tua indipendenza di giudizio,
e non fare ch'essa sia mai sbranata,
dai cani ringhiosi della paura".
Decidere, già, decidere,
in questo mio quotidiano manicheismo,
talora lacerante,
dividere il mondo
in due spicchi esatti,
colpevoli e innocenti,
sapendo leggere anche le più flebili tracce
di drammi, indizi ed eventi;
Signore,
a interrogarmi non starò
sul perchè proprio me chiamasti a indossare,
una toga che fin da ragazzino,
disse di volermi amare,
solo desidero,
che la legge non mi abbandoni,
che mi sia custode fedele,
nella serenità delle mie decisioni;
perchè questo mio insidioso pronunciarmi,
non si avventi come iena,
sulla pelle di un povero innocente,
cui mai mi perdonerei,
di stracciare il futuro,
con l'insana presunzione del mio presente.