Furoreggia, ansima
la tua bandiera di rinfrescante pace,
ma consunzione non conosce nè conoscerà,
ai germi fetidi della prostrazione,
ai graffi vigliacchi
di un'insensibilità vestita
di cancerogena democrazia;
concesso non ti hanno, Dalai Lama,
di essere anche cittadino di Milano,
l'urlo insanguinato
del tirannico cinese,
inghiottito ha in un giorno,
la regalità e la dignità,
d'una Milano che sempre seppe accogliere,
e si dissetò della vera
immarcescibile solidarietà;
a te la scelta,
fantoccio incravattato
che siede a palazzo Marino,
il richiamo della concordia tra i popoli,
o il gracidare scomposto e unto,
del tintinnare mai domo del denaro;
niente Dalai Lama,
dinanzi a un Expo che olezzerà del guano,
delle impronte di un paese,
dove la tortura odora ormai di legge,
e dove il popolo schiavo,
altro non è che del pifferaio comunista,
solo un impotente gregge.
Milano, colpita sei stata ora,
da un borgomastro che ti ha svergognato,
cui nessuno mai ha raccontato,
del tuo solidale, fiero passato.
A te Dalai Lama
questo soltanto dir io posso,
perdona, perdona, perdona,
se la città dove ebbi l'onore di avere i natali,
schiava si è resa, del vil frusciante denaro,
e accogliere non desidera,
chi ha la sua sola, immarcescibile ricchezza,
nei suoi nobili, cristallini ideali.