Eppure il tuo nome fruscia,
nel mio udito profumato
ora di vampate di rinfrescante nostalgia,
ora di attuale, carezzevole poesia;
canzone,
quante volte mi solleticasti
pomeriggi assonnati e morsi dalla noia,
ti fischiettavo,
o chiedevo alla mia ugola di riprodurti,
l'abulia usciva dalla porta,
e restavo con te sola,
a sognare ai passi delle tue marcette,
o al comporsi avvolgente di un lento.
Scintillavi da uno schermo impolverato,
mentre due corse
si dirigevano entrambe verso di te,
riconoscerti per prima,
per vincere,
forse per vincersi,
ti rivelavi in poche battute,
due quarti, un ottavo,
e il tuo nudo offrirsi
come sbarazzino indovinello,
era rivestito da chi sapeva azzeccarti.
Sei sempre lì, anche ora,
nel solco del trentatre giri,
della mia orgogliosa memoria,
caro, diletto motivetto,
Quartetto Cetra,
Morandi,
Meccia, Celentano o Battisti,
astro discreto della mia fantasia,
colonna sonora,
del mio bisogno diluviale di poesia.
Caro Musichiere,
mai ritornerai?
Tra i vivi non dimoravo,
quando ribollivi dal tubo catodico,
eppur ti conobbi e ti amai;
Mario Riva ti fu padre e figlio,
lo so, non l'hai dimenticato,
caro Musichiere,
che il sogno mai mi sorprenda assente
quando il tuo rivivere mi darà d'intercettare,
la musichetta che il tuo esile fascio di note,
mi avrà sussurrato.