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La Sindrome Boodman

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“Ancora un momento, cara… Giusto il tempo di finire”.
Il giudice Boodman aveva pronunciato la frase con una certa dolcezza ma senza alzare gli
occhi dalla scrivania. Rassegnata e devota, la moglie Anne – nata a Princeton e dunque sorella
della famosa amazzone – lasciò la stanza e tornò a intrattenere gli ospiti. Nello studio tornò il
silenzio.
Da quattordici anni tre mesi e undici giorni il giudice Boodman – gentiluomo noto e stimato
in tutta la Contea – aveva deciso di concedersi all’abitudine di far arrivare l’ora di cena
intrattenendosi con un solitario. Mai, in tutto quel tempo, era venuto meno al dilettevole
impegno. Poteva essergli successo di saltare la cena, questo sì. Ma il solitario, mai. Nella
circostanza, il giudice aveva scelto l’Imperatrice: e la cosa, come ebbe poi a notare il dottor
Benedikt, non è da considerarsi ininfluente ai fini della tragedia che, a partire da quella sera,
avrebbe segnato il suo triste declino. L’Imperatrice non è infatti un semplice solitario: è un
solitario mostruoso. Si gioca con quattro mazzi e già solo il disporre sul tavolo lo
schieramento iniziale (73 carte collocate secondo apprezzabili geometrie) richiede il suo
tempo. Se qualsiasi solitario è un privato duello con il caso l’Imperatrice è un duello tutto
particolare: più complesso e, in certo modo, solenne.
Ciò può in parte spiegare perché, quella sera d’agosto del 1945, il giudice Boodman se
ne stesse chino sulla sua scrivania con un’attenzione che si sarebbe anche potuto definire
esagerata. Sotto ai suoi occhi le carte disegnavano un quadro che qualsiasi competente
giocatore non avrebbe esitato a giudicare promettente. Tutto sembrava annunciare il raro
evento di un’Imperatrice riuscita. Fu dunque con motivato ottimismo che il giudice Boodman
prese una carta dal tallone e la girò. Sette di fiori. Poteva essere un cinque di quadri o un fante
di picche o un dieci di cuori e la sua vita sarebbe scivolata serenamente verso una serena
vecchiaia. Ma era un sette di fiori: e quella vita deragliò, impercettibilmente, verso la tragedia.
Il giudice rigirò a lungo la carta tra le dita vagando con gli occhi sull’enorme schema che
copriva la sua scrivania. Niente da fare: non c’era un solo posto dove quel miserabile sette di

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4 commenti    

4 commenti:

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  • L' Altra Me il 30/09/2011 19:45
    A me lui piace moltissimo!!! E questo racconto è ottimo, mantiene viva l'attenzione spingendoti a leggerlo fino alla fine volentieri, nonostante sia lunghetto!! Grande!!
  • PICCOLA RAPUNZEL il 11/08/2011 09:43
    fantastico Baricco... adoro il suo modo di scrivere
  • Giovanni Ibello il 26/02/2011 00:57
    eccezionale! Che meticolosità narrativa, grande baricco
  • il 05/03/2009 16:45
    Ottimo racconto, penalizzato da un'impaginazione bizzarra.
    Credo che se ognuno di noi facesse caso a certi eventi e li collegasse a qualche proprio gesto o pensiero, si troverebbe sicuramente tutti i sintomi della succitata sindrome.
    Conosco una persona però, in voga negli ultimi tempi, che ogni volta che firma una legge, sfugge completamente ai sensi di colpa dovuti ai guai che essa produrrà.
    Insomma non ci pensa proprio, e come lui fanno i suoi colleghi: che abbiano trovato un antidoto?
    Complimenti, testo interessante. R.