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Racconti sull'amicizia

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Con un'ala sola

Con un'ala sola.
"Mase?"
L'esclamazione di un ragazzino di sette anni echeggiò per il cortiletto. Oliver si mise a quattro zampe sul tappato d'erba e sbirciò sotto una delle panchine affiancate al muro di casa. Ignorò gli schiamazzi degli altri bambini che giocavano appena oltre il muretto di cinta.
"Mase?" ripeté, tornando ad alzarsi in piedi e spolverandosi i jeans all'altezza delle ginocchia: il bambino di nome Mase non rispose nemmeno a quel secondo richiamo. Oliver aveva attraversato il cortile dei Lockwood in lungo e in largo alla ricerca del suo migliore amico: con pazienza e accuratezza aveva scandagliato ogni angolo, dai nascondigli più azzardati fino a ai più banali, come i sedili posteriori della jeep del padre. Tuttavia, non vi era traccia dell'altro ragazzino. Non era preoccupato - lo trovava sempre, alla fine - ma stava incominciando ad esaurire le idee per i nascondigli. Infine, ebbe un'illuminazione. Attraversò il praticello di corsa, restituì a Ricki e Jeff il pallone finito a pochi metri di distanza da lui e sbucò nel giardino sul fronte della tenuta. Individuò in fretta il gigantesco tappeto di plastica a forma di scacchiera che ricopriva un generoso quadrato d'erba; lo raggiunse di corsa. Lì, sdraiato a pancia in giù, e circondato da una decina di pedine grandi quanto nani da giardino, un ragazzino stava sfogliando un libro. Solo quando Oliver si sedette di fianco a Mase, si accorse dell'espressione triste dell'amico. Spostò ancora una volta lo sguardo in direzione del libro e si accorse che la copertina era interamente fradicia, così come gran parte delle pagine.
"Chi è stato?" domandò, assumendo un'espressione preoccupata. Mason si strinse nelle spalle e non disse nulla, facendo bene attenzione a non ricambiare lo sguardo dell'altro bambino. Infine, tirò su col naso, e prese a stuzzicarsi una crosticina sul ginocchio.
"C-co-come va c-con l'aaereo che stai, stai costruendo?" balbettò infine, continuando a mantenere lo

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   0 commenti     di: Laura


Stagioni d'amicizia

Sciolgo sempre remore nelle parole dell'amicizia, me ne avvolgo come calda coperta in inverno, la percepisco come ombra accogliente d'ombrellone all'azzurro accecante in estate, mentre in autunno la avverto d'oro e frizzante apparente d'epilogo sul viso, e in primavera, ecco essa com'è intuita meravigliosamente nel cuore: colorata di ridenti riflessi di fioritura che inteneriscono d'affettuosa rinata simpatia e vivacità pure la mia vita!

   2 commenti     di: mariella mulas


La cucina è sporca

"Ste" nessuna risposta.
"Steeee" niente.
"STE FA NO, questa volta ti uccido" Mariella era imbestialita;
per l'ennesima volta il suo coinquilino, nonché amico di una vita,
aveva lasciato la cucina come se volesse suggellare nella loro
casa il passaggio dell'uragano Katrina. In quella stanza di quasi
quindici metri quadrati, c'erano così tanti suppellettili e utensili
da cucina che lei stessa si meravigliò di quanto stava osservando:
forse Stefano, al posto di organizzare una di quelle cene dove
ognuno avrebbe portato qualcosa da bere, aveva chiesto a tutti i
suoi amici e conoscenti di lasciare una padella sporca in ricordo.
Prima di entrare nel suo appartamento sperava di trovare Ste-
fano in casa; non l'aveva chiamato per comunicargli il suo arrivo
perché immaginava volesse passare la domenica con i suoi amici
a bere birra e guardare le partite di calcio, inoltre, da quando
il suo fidanzato l'aveva mollata per una collega, Stefano aveva
sopportato le sue lacrime fin troppe volte. Anche per quello
aveva deciso di passare il fine settimana appena trascorso nel
suo paese natale: la speranza di partenza era quella di distrarsi
un pò, la verità di fondo era il far sopportare le sue isterie a
persone diverse.
Ora sulla porta della cucina, ancora con il cappotto addos-
so, una profonda malinconia la avvolse, si sentiva come se il
Karma, incazzato e depresso, le avesse tirato un pugno nello
stomaco: l'immagine della mamma che le implorava di rimanere
per riposare qualche altro giorno le si materializzò davanti agli
occhi come un'allucinazione. Voleva nuovamente le coccole di
casa, l'essere viziata dai suoi, il non alzare un dito per i servizi
domestici.
Mentre era assorta nei suoi pensieri Stefano le comparve di-
etro, tuta e maglietta, capelli arruffati e borse, non quelle da
viaggio ma da sonno.
"Perché stai urlando, sembri una vecchia isterica, se non ti
conoscessi ti direi che hai bisogno di scopare" scoppiò a ridere
e corse in

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L'ultima volta

L'ultima volta eri bellissima.

Avevi i capelli biondi (come quando eri bambina), occhi azzurri, un sorriso timido, e i tuoi caratteristici fianchi larghi, quasi volessi dirmi "Ehi, sono fatta per essere una mamma!".

È strano, avrei giurato che fossi diversa... Mi ricordavo i piercing e il trucco scuro e pesante, la sigaretta costantemente accesa e uno sguardo triste e superficiale, aveva perso ogni brillantezza giovanile.

L'ultima volta il tuo sguardo era vivace e profondo.
Era diverso. Non lo sguardo in sé, ma qualcosa in te era cambiato.
Mi guardavi come se io fossi l'amico che avevi sempre avuto, e mi è sembrato che in quell'attimo io, per te, esistessi davvero.
Non l'avevi mai fatto prima.

Ho riordinato le idee alla ricerca di una qualsiasi spiegazione. Non ti eri fatta sentire per un lungo, lungo tempo.
Eri riapparsa sola, sotto casa, in quel pomeriggio cocente.
La tua presenza aveva accellerato il mio cuore che sembrava essere sotto i colpi di un mortaio.

Eccoti qui, serena, pulita, semplice.
Eri quella che desideravi essere e che cercavi, e che non ti dava sonno, quando ti urlava nella testa "Cercami! Io ci sono! Davvero!", e quando usciva le ti nascondevi tu.

Mi hai guardato negli occhi e mi hai abbracciato e baciato.
Profumo di pesca, i tuoi capelli.

Ti ho rivista stamattina.
La foto non rende molto, il bianco e nero appiattisce il tuo sorriso vecchio secoli.
Hanno sbagliato foto, non è così che ti ricordo io. Portavi ancora quei teschietti al collo e quell'eye liner da gatta nera...
No, la foto è sbagliata, ma in un momento come questo cosa non lo sarebbe?

Hai lasciato tutto e ora sai la verità.
Io sono ancora qua, e la verità la sto scoprendo vivendo giorno dopo giorno. Ed è fantastica.

Il cancro ti ha distrutta velocemente e il tuo fisico non ce l'ha fatta.
Eppure dovevi sentirti così nella pace, durante quell'ultima volta, ultimo pomeriggio insieme.

Mi hai parlato del male che ti affligge

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   4 commenti     di: Desio Sicario


Nina

Nina era una cuccioletta bastarda che mio padre mi regalò, cedendo
alle mie insistenze ed al mio forte desiderio di avere una cane. La mia famiglia
era molto piccola: mio padre, mia madre ed io e la nostra casa era troppo
angusta anche per tre persone. Nel mio egoismo di bambina non prestati troppa
attenzione ai problemi che Nina avrebbe procurato a mia madre. Nessuno di noi
tre riuscì ad educare gli sfinteri di Nina e mia madre doveva pulire in continuazione
i pavimenti. Però anche lei le voleva bene e quando io, consigliata da "esperti"
educatori di cani, la picchiavo o le strofinavo il musetto sul laghetto di pipì che
aveva appena fatto, mia madre la guardava con occhi teneri e diceva: "Povera
bestia". Nina rivelò presto una bella intelligenza ed una grande capacità di affetto.
Se qualcuno dei miei compagni di giochi fingeva di picchiarmi, Nina abbaiava,
mostrava i denti e si lanciava contro l' aggressore. Facevo appena in tempo
a prenderla in braccio e a dirle che era tutto uno scherzo, che l' aggressore
era amico mio ed anche suo. Allora accoglieva, docile, le carezze del nuovo amico.
Se prendevo in braccio la bambina di pochi mesi di nostri amici, Nina si agitava,
abbaiava. Io mi affrettavo a rimettere nelle braccia della madre la bambina,
ma sono sicura che non l' avrebbe mai aggredita. Credo che i cani considerino
i bambini loro parenti.
Dopo pranzo mio padre si sdraiava sul letto per un pisolino e invitava Nina
a distendersi con lui, nel cavo del suo braccio. Questo mia madre non lo tollerava
e se mio padre, prima di addormentarsi, avvertiva i passi di mia madre avvicinarsi
alla stanza da letto, bastava che dicesse: " Nina, arriva la padrona!" perché
questa si precipitasse giù dal letto e vi si nascondesse sotto.
Facevamo lunghe passeggiate a Villa Borghese dove le insegnai a nuotare
in modo spartano: buttandola in una delle tante fontane circolari della Villa.
Nina nuotava verso il bordo della fontan

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Tre amici

Questa è la storia di come tre amici hanno capito di essere inseparabili. P è il primo, ma il meno brillante dei tre. Crede solo in una cosa: nell'amicizia; poi c'è L, il playboy del gruppo e quello anche più violento. Infine c'è F, il migliore nel mettere a rischio l'amicizia. Possiamo cominciare. Era novembre e P, come al solito, quel pomeriggio aveva lezioni di violino. F lo incontrò davanti all'edificio dove avrebbe suonato e gli chiese se, per caso, conosceva una certa G. Sfortunatamente P la conosceva. F decise di provarci, non ascoltando l'amico ( P ) che ripetutamente gli aveva detto che anche lui provava dei sentimenti nei confronti di G. F andò a segno e aprì una storia con G. Per F e P furono due settimane di tensione. P, che inizialmente decise di accettare la storia dell'amico, capì che purtroppo non ci riusciva. F, che vedeva P come un eroe che aveva messo in prima linea la felicità dell'amico, capì che doveva scegliere: o la sua ragazza o il suo migliore amico. F la lasciò ma P lo convinse, inghiottendo questo enorme macigno, a continuare a starci insieme. Una settimana dopo, inevitabilmente, la relazione di concluse definitivamente. F e P tornarono come prima. Ma chi aveva ragione? F? Che credeva che la cotta dell'amico fosse solo una sbandata passeggera? O P? Che vedeva F come un traditore? Non importa. erano tornati amici e F si promise che non avrebbe mai ricommesso un simile oltraggio ad un'amicizia. Trascorse un anno e due mesi senza problemi per i tre amici. Però a F era rimasto il ricordo di cosa aveva fatto l'anno prima e il periodo fra ottobre e novembre gli faceva un po' paura. Non successe nulla, fino a capodanno. F, P e L erano insieme per l'ultimo giorno dell'anno con altre cinque ragazze. C'era però G ( sempre una G ), il desiderio di L. Verso le undici e mezza andarono a pattinare ma G e altri due tornarono a casa mentre F, P, L e gli altri rimasero sul ghiaccio. Qui entrò in gioco B, ex ragazza di L che provava ancora q

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   1 commenti     di: Philip


Nun fa' tardi, pe' piacere

Mi sono svegliato presto stamattina. Alle undici appena, solo per te, che ami dormire. Oggi è il tuo compleanno. Doccia, jeans, camicia bianca, sono pronto. Il regalo l'ho preso l'altro ieri, è un libro. Lo vidi per caso, nella vetrina di una libreria del centro. Si chiama "Il Postino di Neruda", l'ha scritto un certo Antonio Skàrmeta. Non so chi sia, nè immaginavo di cosa parlasse il libro prima di comprarlo. Ho letto che è la storia di un postino, della sua amicizia con il poeta Pablo Neruda. Ho pensato un po' a noi due: io postino, tu poeta. Poeta che oggi compie ben cinquantanove anni.
Azz, te staje facenn' viecchio! Penso alla tua faccia mentre ti dico questa frase e mi viene da ridere. Prendo il libro e mi incammino verso casa tua. Mi vengono in mente tutti i tuoi film, nel tragitto che mi sta portando da te. Il primo, quello in cui avevi fatto solo "tre ccose bbone", oppure quello in cui con Benigni correvi all'indietro nel tempo. Mi hai fatto ridere tanto, mi hai regalato momenti unici, fatti di buon umore, di riflessione, di nostalgia, di malinconia.
Una volta, in un tuo film, non ricordo quale in questo momento, c'era un tuo primo piano: eri terribile. I tuoi occhi penetravano la telecamera, bucavano lo schermo ed entravano nel cuore di chi ti guardava. Eri disarmante.
Che fortuna essere tuo amico!
Guardo il libro, chissà se ti piacerà. Già so che anche se non dovesse piacerti non me lo dirai mai. Lo accetterai con un sorriso, ringrazierai, con la tua solita eleganza. Come quando ritiri un premio e ti limiti a dire un laconico "Grazie", senza troppi giri di parole. Non ti è mai piaciuto parlare tanto. Non ne hai bisogno.
Non ho mai sentito nessuno parlare così tanto stando in silenzio. I tuoi silenzi sono lunghi monologhi, logorroici discorsi che toccano l'anima. Mi piace stare immobile ad ascoltarti, a guardarti.
Eccomi arrivato. Sono sotto al tuo palazzo. Busso, ma tu non rispondi. Non mi dire che staje ancora durmenn'! È mez

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