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Racconti di attualità

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La filosofia della nuova era spirituale (ultrapallio) - 1a parte

Corretta istruzione (nefandezze Isis) e cultura dell'amore (emergenza profughi) per tempi migliori (era spirituale/ultrapallio). Anghe... la Merkel l'ha capito, Salvini no!

Dopo il razionalismo delle idee innate/intuizione (metodo deduttivo, Cartesio) e l'empirismo delle idee elaborate/esperienza (metodo induttivo, Locke) sarà lo spiritualismo delle idee illuminate dalla fede (Maiello) la filosofia vincente della nuova era spirituale (ultrapallio) sotto il cielo stellato di Kant (intelletto) e la notte delle vacche nere di Hegel (ragione) e... anche gli atei crederanno!

Con le storiche dimissioni di Papa Ratzinger e l'avvento in Vaticano di Papa Francesco inizia la nuova era spirituale secondo la profezia Maya (21/12/2012) e l'Italia, da novella arca di Noè (emergenza profughi!), avrà il gravoso compito di traghettare il mondo intero nell'era della luce e della pace.
Adesso se Papa Francesco è il riformatore spirituale che rifugge i fasti e predilige i deboli, il sottoscritto (Francesco Andrea) è pervenuto addirittura alla cellula e al sistema spirituale, illuminata evoluzione della materia grigia cerebrale, ritrovando proprio nella filosofia (amore/philein del sapere/sophia) il bandolo della vita (genesi biblica).
E così Dio il Signore formò l'uomo dalla polvere umida (terra+acqua/Talete), gli soffiò nelle narici un alito vitale (fuoco/Eraclito+aria/Anassimene) o energia spirituale (amore, il motore della vita) e l'uomo divenne un'anima vivente.
In verità a questo stadio di anime viventi non siamo ancora pervenuti se lo stesso Eraclito, primo filosofo a coniare il termine di anima (psichè) come dimensione diversa dal corpo, era molto scettico in proposito... i confini dell'anima non li potrai mai trovare, per quanto tu percorra le sue vie; così profondo è il suo logos (ragione).
Acquisire l'anima, comunque, è possibile se si concepisce la cellula spirituale ben celata, sempre per disegno divino, nella fantastica triade filosofica (di maes

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L'estate del mio primo batticuore -Parte 3-

Miei gentilissimi lettori son molto dispiaciuta all'idea che voi abbiate pensato che questo mio lungo racconto fosse già finito! Vi siete sbagliati di grosso. L'amore deve ancora sbocciare, la tenerezza non si è ancora mostrata e le lacrime amorose non le ho ancora versate... Dovrete leggere ancora molto, ma per adesso vorrei riprendere il mio racconto dal punto in cui l'ho terminato: il mio primo appuntamento con un ragazzo. Non era proprio un appuntamento per lui, dato che aveva solo intenzione di fare un favore alla nonna portandomi per Milano. Per me, invece, era la grande occasione per dimostrare a Mirco che si sbagliava su di me. Avevo già pianificato un super discorso sulla mia personalità per fargli comprendere quanto si sbagliasse. Era tutto pronto nella mia testa ma... Non ero pronta io, fisicamente intendo! Non ero mai stata a un appuntamento. Così chiamai la mia amica Lorel di Boston che di appuntamenti se ne intendeva. .-Ehi Lorel- inizia la chiamata così dicendo e lei incominciò a riempirmi di domande sulla città, i ragazzi del posto e non mi lasciava arrivare al nocciolo della questione! La interruppi e di scatto comunicai:-Ho un appuntamento! Non so cosa mettermi, come acconciarmi, come truccarmi. Potresti aiutarmi?-domandai. Lei mi consigliò qualcosa di trasgressivo come scollatura a "V" e tacchi alti, ma io non avevo intenzione di fare colpo su di lui. Non dovevo affascinarlo o sedurlo! Dovevo solo dimostrargli che si sbagliava su di me. Feci di testa mia; aprì l'armadio, lo scrutai attentamente e da esso uscì dei pantaloncini di jeans e una camicetta azzurra. Infilai delle ballerine azzurre, una borsetta dello stesso colore, un po' di mascara alle ciglia, matita nera ed ero pronta. Aspettai fuori al cancello della villa a lungo ma lui non arrivava. La rabbia saliva e l'orgoglio lacrimava lacrime di sconfitta. Rientrai dopo un ora ricca di delusione, angoscia e desolazione.
Rivenne l'alba e non avevo nessuna voglia di iniziare una nuov

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Diecimila e cento giorni

Diecimila e cento giorni di Claudio Martini è un libro scritto con razionalità e passione. Il romanzo è strutturato in quattro parti: Emersione, immersione, navigazione, approdo, ognuna
delle quali divisa in brevi capitoli. Stanno a significare
l' emergere dei personaggi con le loro storie, l' immersione
nel loro vissuto per cercare una stabilità, la navigazione, la parte più importante. Un viaggio metaforico e reale che, tra
sofferenza, momenti di gioia, passi indietro e passi in avanti,
li porterà all' approdo, in un arco di tempo lungo, appunto,
diecimila e cento giorni, 27 anni, dal 1977 al 2004.
L' esigenza di trovare l' equilibrio e un approdo lega
i personaggi, molto diversi tra loro. Quasi tutti troveranno
un buon approdo e questo, secondo me, è uno dei tratti
positivi del romanzo in quanto, senza enfasi, spalanca orizzonti di speranza.
Il protagonista, l' autore, l' io narrate, ha partecipato alle
iniziative e alle manifestazioni rivoluzionarie degli anni 70
ma non se ne sente appagato e vive una crisi che lo spinge,
sotto la pressione di un amico che è emigrato in Perù,
a partire per questo e per altri paesi dell' America Latina dove
vive varie vicende, fa diversi lavori, incontra molte donne.
L' eros è profondamente presente nel romanzo ed è espresso
con un linguaggio scoperto, a volte crudo ma mai volgare.
Riccardo la cui obesità ha una valenza metaforica "del
cannibalismo archetipo" come ha detto Giovanni Invitto nella
sua introduzione, salva dalla morte per overdose Fatima, una
giovane kosovara fuggita dalla sua terra martoriata. Tra loro,
tra alterne vicende, si svolge una storia che li avvicina sempre di più fino a stringerli in un amore dolce e sereno.
Per lei e per Riccardo che ha trovato il gusto della vita che non aveva avuto mai, si apre un tempo tutto da vivere.
Il protagonista inizia un lavoro di alfabetizzazione con
contadini poveri e sfruttati, sull' esempio di Freire e sul
modello del suo metodo di ed

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Uno sguardo dalla mia parte

Non sono bianco, non sono nero, non ho i capelli biondi e non parlo il dialetto dei monti dell'Afghanistan.
Sono un uomo. Semplicemente un uomo.
Eppure questo mio stato d'essere viene messo in dubbio in più di un'occasione. Durante la firma di un contratto di lavoro. Prima dell'ultima partita del campionato. Dopo le elezioni per le regionali di turno. Vengo etichettato in vari modi, estremista, drogato, fascista, comunista, extracomunitario, idealista, patriottico, alieno, nero, bianco, nè caldo nè pesce, mammone, cattolico, ateo, musulmano, e fanculo all'antropologo di turno.
Sono un uomo. Potrei essere una donna, ma sono un uomo. Ho 23 anni. Studio, ogni tanto lavoro, gioco - a qualsiasi cosa - mi diverto, mi innamoro. Già. Mi innamoro. Sono un uomo.
Oltre ad essere un uomo sono un ragazzo. No, non è gerarchia. È dato di fatto. E osservo. Cazzo se osservo. Osservo e vedo.
Cosa vedo?
Guerre, battaglie, odio, indifferenza e tutto ciò che ne concerne. Ma non voglio sembrare il solito pessimista cronico con difetto genetico, no. Perchè io certe volte vedo l'amore. Io alcune volte vedo che le persone non cambiano. Semplicemente crescono.
Sono dell'idea che un uomo, una donna, cresca durante tutta la vita, senza mai cambiare veramente.
L'amore è una cosa strana. Ci hanno scritto milioni di poesie, racconti e canzoni. Ognuno di noi ha un proprio modo di definire l'amore.
L'amore è avere coraggio. L'amore è non scendere a compromessi, ma ammettere di avere torto e avere ragione. L'amore è essere egoisti, specchiando la propria vanità nell'altro. L'amore è darsi completamente all'altro. Paradosso? Sì. Ma per l'amore vale. L'amore è non rinnegare se stessi per inchinarsi all'altro. L'amore è rendersi conto di volere l'altro nonostante gli ostacoli. L'amore è avere il cuore in erezione. Oppure il cuore bagnato.
Mai rinunciarsi. Solo sacrificarsi, ma mai troppo.
È un maledetto e arrapante gioco di equilibrio.
Voglio f

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   8 commenti     di: Guido Ingenito


Scenari apocalittici dal fronte.

Roboante il cannone in lontananza!
S’ode il tuono del guerreggiare,
il trambusto di un’Odissea di vite,
d’insensate, fatali sparatorie.
Il cammino disegnava incoraggianti
scenari per il caporal-maggiore.
S’auspicava l’indomani il nemico domare;
il nemico, barricato oltre siepe,
nella coscienza sua
avviluppata da sordidi vapori
di belligeranti tattiche.
Il detonatore applicato al mitra,
silenziatore d’ineffabile strage,
mascheramento d’intrigo putrido.
La Ragion di Stato non s’infrange
per la salvaguardia del capitale!
Paventava la guerra, quel Profeta:
lottava per il trionfo della socialità,
cosmopolita, arcadico sognatore
di multi-etnici ginepri festanti,
di non rari coacervi razziali.
Avea riposto nell’umana pigrizia
la sensibilità del fervido “passionario”
per raggiunger l’unità dei pensieri,
le unità, la sacralità di momenti
vissuti in società multi-razziali,
popolate da convivi di arabi, rabbini,
lasciando che il Kamikaze della vita
si suicidi in cerca di fraternità!
Lo stelo dell’incoscienza,
il monatto della concupiscenza
il cuor suo, sincero, deluse
la pacifica convivenza
tra consanguinei fratelli!
Ora il Profeta è stanco, inerme,
imbrigliato dal calcolatore
stratega, guerrafondaio.
Sotto la manna di un cielo apocalittico
l’inferno già sfiora le dita dell’animo.
Ora la Guerra incombe su noi!
Il lacustre predatore d’anime
va nutrendosi d’inimicizie, di odi,
sempre di più,
insaziabile, irrefrenabile!
La frenesia spezza via
la polvere del buon senso,
il sapore della Primavera s’incancrenisce,
così come la cristallina gioia estiva,
così come il freddo colore del general Inverno!
S’inalbera il vento di un matto incrocio
di pezzi forti di gendarmeria;
si scaraventa a terra la giustizia
dalla canna mozza di un corrucciato Kalashnikov
che punta lassù in alto, nel cielo
e va a spezzar il volo dell’airone
che, maestoso, abbraccia l’Infinito!



Immagine di uomo moderno

Se ne sta solo, vincente, al di là del vetro.
Fuori dal grande palazzo scorre tumultuosa la vita della moderna città, un costante via vai di persone e veicoli e ancora persone.
Sopra, il cielo è limpido, terso; una brezza leggera spazza lo smog immobile dalla strada d'asfalto. Splende il sole. Ciascuno, passando, scorgendolo di là dell'ampia vetrata, gli porge un saluto: talvolta un cenno o poco più, uno sguardo almeno, spesso un sorriso. Le donne soprattutto, che fantasticano, rapite dall'aspetto fiero che lui possiede.
L'uomo ha un volto vagamente squadrato, una mandibola prominente che gli conferisce autorevolezza e richiama segnali ancestrali di un sistema immunitario efficace. La sua pelle è liscia, abbronzata. Perfetta. Nessun indizio di rughe sulla fronte ampia: sarà certamente colto e brillante. La folta chioma leonina, la barba appena rasata e gli occhiali da sole alla moda, neri con rifiniture dorate, gli conferiscono al contempo un aspetto rude e sincero. Uno spirito libero ma raffinato, selvaggio eppure ben curato.
Veste con abiti firmati che ben si adeguano al suo fisico atletico: una camicia bianca coperta da una giacca scura ed una cravatta in tinta unita del medesimo colore. Le mani in tasca sono funzionali alla posa, gli donano sicurezza e deviano l'attenzione sui genitali certamente soddisfacenti. Al contempo permettono di tenere la camicia e la giacca leggermente di lato rispetto all'addome che, complici alcuni bottoni madreperla non chiusi a dovere, fa bella mostra di sé. Muscoli che sembrano scolpiti, tonici e marmorei, frutto di sano esercizio e di indovinata gestione del proprio tempo libero. Molto, sicuramente. Un fisico tonico e sempre in forma, particolare questo che amplifica e connota il sorriso malizioso delle signore che osservano quella meravigliosa creatura.
In molte lo vorrebbero accanto, anche solo per una notte e un giorno soltanto.
Eppure, stranamente, lui a tutto ciò si dimostra indifferente.
Non si scompone il

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Scherzi dell'abitudine, limiti della memoria, e quotidiana assenza

Ci sono due giovani pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: "Salve, ragazzi. Com'è l'acqua?". I due giovani pesci nuotano un altro po', poi uno guarda l'altro e fa : "Che cavolo è l'acqua?".
Ho preso questa storiella dal discorso tenuto da D. F. Wallace ai giovani laureati in discipline umanistiche del Kenyon College nel 2005.
Il succo è semplicemente che le realtà più ovvie, onnipresenti e importanti sono spesso le più difficili da capire, da condividere, da discutere ( parole di Wallace). Ma soprattutto, aggiungerei, da apprezzare o disprezzare a seconda dei casi, delle persone, e dei momenti.
A questo proposito ho provato a sostituire ad acqua la parola pace. Come assenza di guerra, intendo.
Se per chi, come me nato subito dopo il secondo conflitto mondiale può ancora avere, oltre un significato, un carico di emozioni. Un valore che aumenta più la parola viene contrapposta al suo contrario "guerra", se non altro per aver visto gli effetti di quest'ultima o averne percepito l'eco nei crudi, talvolta drammatici, racconti familiari, per i ragazzi d'oggi - almeno quelli del nostro Paese, se si escludono i pochi impegnati in azioni di guerra all'estero - la pace deve sembrare un fatto talmente acquisito da essere scontato. Tanto vi sono immersi fin dalla nascita, come i due giovani pesci lo sono nell'acqua.
Cosa in parte vera anche per molti di noi ex contestatori, figli dei fiori, pacifisti - che nei "favolosi '60" facevamo sit-in e lunghe marce contro la guerra - quando c'è stata la crisi di Cuba, per esempio. Ricordo che allora, vuoi per l'incoscienza dell'età, vuoi che un futuro generoso ci faceva vedere il bicchiere sempre colmo (per non dire traboccante), vuoi forse perché ci stavamo ormai abituando all'"acqua", nel nostro profondo sentivamo che la guerra non sarebbe scoppiata. In cuor nostro sentivamo che, all'ultimo momento, qualcuno avrebbe le

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