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Racconti autobiografici

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11 dicembre

.. ma la realtà è un'altra cosa. è la mia passione. le mie tre tazze di caffè, le mie sigarette. la mia immagine nello specchio, il mio grazie a madre natura, la mia sosta davanti all'armadio..
i miei gatti, la mia crema antietà, i miei jeans, la musica dei Rasmus.. i fogli del calendario fermi al mese di maggio, il freezer pieno di peperoncini.. la minigonna, gli occhiali verdi, la cartolina delle Tuamotu..
i miei sogni, i piccoli amori.. sì, la realtà è un'altra cosa. è la mia passione. non vedevo l'ora di rituffarmici, e non fa niente se piove..



Io e te

.. non ci vuole molto. a capire. se io e te, Teo, che siamo due. io e te, no? io e te siamo il simbolo dell'universo.. tu dici il tempo non è buono, io dico è buono.. tu dici mettiti la gonna, io dico mi metto i pantaloni.. tu dici al mare si va a luglio e agosto, io dico si va ad aprile, maggio, giugno, luglio, settembre e ottobre e novembre.. tu dici dopo l'amore si mangia una bistecca, io dico prima.. tu dici ti voglio bene, io dico solo mi vuoi..
siamo il simbolo dell'universo. che è lotta e disaccordo. è questo il bello. l'accordo perfetto è una illusione o uno dei due che dice le bugie.



La bigama letteraria

È possibile amare con la stessa intensità Marcel Proust e Henry Miller? Si può leggere con lo stesso appassionato trasporto A l'ombre des jeunes filles en fleurs e Sexus?
A me succede. E non ho ancora capito se siano il mio umore e la mia disposizione d'animo ad influenzare la scelta delle mie letture e, quindi, a condizionare il sapore che ne ricavo, o viceversa. Fatto sta che, attraverso le pagine che scorrono tra le dita, è come se io sentissi la voce e il respiro di chi scrive. Ogni parola è un battito del cuore, ogni riga un pensiero, persino la punteggiatura diventa specchio di una riflessione, a volte lenta e ponderata, altre torrenziale e impaziente.
Così, quando leggo Proust, mi ritrovo nella sua stanza, calata in un silenzio irreale, isolata insieme a lui da pellicole di sughero che rivestono le pareti e che ci difendono dai molesti rumori del mondo esterno, con il solo odore dei medicinali, dell'oppio e dell'adrenalina, a infrangere l'immobilità di questo spazio tutto interiore, tanto fragile e potente insieme. Ecco, è come se lì, confinata in quella stanza sigillata, in quel mondo di perenne convalescenza, io portassi il mio mondo, la mia realtà. Riverso il mare, il vento, il sole, la sabbia... tutta l'esuberanza della natura, lo stupore e l'allegria. Così, l'ovattata camera dei ricordi si riempie di fragorosi e colorati fuochi d'artificio.
D'altro canto, quando leggo Miller, rispondo alle sue sfacciate e irriverenti provocazioni senza vergogna, assecondando ogni suo desiderio e sfidando i suoi eccessi con rinnovato fervore. Sento divampare in me lo stesso fuoco che alimenta le squallide stanze d'albergo in cui lui si abbandona a trasgressivi piaceri, divento incurante di ogni pudore ma anche innamorata e devota, come una giovane e trepidante Anaïs, vibrante, distesa tra le lenzuola nella penombra del suo letto, in attesa della prossima lettera d'amore del suo amante.
Dalla cima dei capelli all'alluce, questi due autori, così diversi tra

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   1 commenti     di: Paola Cerana


Il nostro Segreto

Eravamo arrivati alla stazione ferroviaria di Antignano da via della Salute, proprio di fronte ad essa, dopo aver fatto un giro fino al Miramare, dove finiva il paese.
Attraversai il piccolo spiazzo prospiciente alla stazione di corsa per essere il primo ad attraversare i binari, lasciandomi alle spalle la scuola elementare, la casetta di servizio delle ferrovie, mio nonno e mio fratello.
Passata la piccolissima sala di attesa, attraversai i binari; ero già oltre il primo, quando, girandomi alla mia destra, scorsi il treno, d'improvviso che arrivava dalla curva del Miramare per oltrepassare la stazione.

Non si sarebbe fermato, né avrebbe rallentato, non era un treno accelerato, come si diceva al tempo dei treni che fermavano a ogni stazione, ma procedeva speditamente. Inclinato, nell'affrontare la curva, sembrava ancora più veloce; le canne che costeggiavano la ferrovia erano sconvolte da suo transito più di quanto non lo fossero per il libeccio che picchiava forte.
Ero là in mezzo ai binari senza sapere se tornare indietro o superare anche il secondo binario e scappare verso il marciapiede di fronte.
Mio nonno e mio fratello erano appena usciti dalla piccola porta di accesso ai binari, basiti, atterriti, ma soprattutto sorpresi.
Perché non avevamo sentito il campanello che annunciava l'arrivo del treno?
Il treno fischiò forte, togliendomi dalla piccola trance in cui ero caduto. Scelsi di superare velocemente anche il secondo binario per raggiungere il marciapiede lato terra.
Il treno argento e verde passò fischiando ancora e portandosi dietro il vento odoroso di ferro, il sussulto e il rumore, dileguandosi verso la via dell'Uliveta e i campi del Casini.

Attraversò i binari anche mio nonno con mio fratello, spaventato e scosso.
Non un rimprovero, non una parola per lunghi minuti. Ci mettemmo a sedere, silenziosi, sulla nostra solita panchina a listelli di legno colorati di verde, sotto la pianta di pitosforo.
Non dicemmo nulla a casa, n?

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fino alla luce (III parte)

Venerdì 28 febbraio. Cinquantesimo giorno.
Venire ricoverati è un sollievo: so di essere in buone mani. Medici ed infermieri mi accudiscono e mi riveriscono. Sono continuamente sottoposto ad esami, visite e controlli. È incredibile come si stiano impegnando pur sapendo che non ci sono speranze. Ogni giorno che passa è per il mio corpo un anno che se ne và. Per quanto la medicina si impegni, non riesce a contrastare l’inesorabile passo del tumore che sta avanzando senza ostacoli lungo una trincea ormai stremata. I medici delle cure palliative sanno guardare negli occhi e sorridere nel modo giusto, sono capaci di farti capire che stai morendo infondendoti un calore rassicurante. Sembra che trasmettano il messaggio che la morte non è poi così male. Poi torno a casa, questa volta per sempre.
Talvolta mi sfiora un insano senso di colpa: come se mi sentissi responsabile di tutto il disagio che sto creando intorno a me. Come se non fossi stato abbastanza forte da essere invulnerabile a questa malattia e per questo avessi deluso mia moglie. È innegabile che in questo momento io rappresenti la causa dell’infelicità delle persone che amo. Non io, ma il mio cancro. Devo stare attento a non identificarmi con quella malattia, devo ricordarmi ogni istante che la bestia che si è insinuata dentro di me, è un letale parassita, ma grazie a lei sto analizzando la mia vita. Grazie a lei trascorro parecchio tempo accanto ai miei cari, sento di amare e di essere amato sempre di più.
Questa sera sono sereno. È venuta a trovarmi più gente del solito. Sono allegro e più in forma. Però me ne sto andando.
È notte ed il mio capezzale è circondato d'amore. Giaccio sulla mia comoda sedia a dondolo e sento che il mio respiro si fa sempre più lento e faticoso. Mio figlio D. è seduto sul letto di fronte a me e mi stringe la mano destra, mio fratello L. è di fianco a lui e mi tiene la sinistra. Sono gli ultimi contatti con il mondo materiale. Sono più lucido d

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24 novembre

.. c'è una linea diretta. tra me e il cazzeggiare. tra il cazzeggiare e il continuare a cazzeggiare. tra il continuare a cazzeggiare e il seguitare a continuare a cazzeggiare.
tra il seguitare a continuare a cazzeggiare e il proseguire a seguitare a continuare a cazzeggiare. tra il proseguire a seguitare a continuare a cazzeggiare e il persistere a proseguire a seguitare a continuare a cazzeggiare.
e me.



Lungo il torrente

Da ragazzetto possedevo collezioni enormi di fumetti. Da Mister No a Tex, passando per Martin Mister e Ken Parcker, per finire con Topolino.
Di quel periodo ricordo le lunghe trattative di scambio dei giornalini, in special modo con Fabrizio e Mariano, due fratelli che vivevano come me nelle case operaie della Cartiera, dove mio padre e il loro lavoravano.
Mi tornano alla mente le interminabili partite a Monopoli, e le altrettanto lunghe sfide a calciotennis tra i muretti di separazione delle case.
Rammento, come fosse oggi, delle centinaia di capanne costruite tra le boschine di robinia che circondavano il quartiere, della caccia alle rane negli stagni e tra i sassi del fiume, incrostati dalla patina bianca della carta sfuggita agli scarichi della cartiera.
Soprattutto ho memoria delle nostre "ardimentose" discese in gommone sulle acque del Torrente San Giovanni, da Possaccio al lago.
Quante volte tentammo l'impresa di discendere il corso del torrente meno nobile di Verbania, senza riuscirvi.
Sembra di parlare di secoli fa, ma badate che basta tornare indietro di una generazione, perché ci si ritrovi in un mondo dove la gioventù aveva divertimenti e mezzi molto più limitati di quelli odierni.
Io stesso, che non sono proprio Matusalemme, ricordo benissimo, ad esempio, che le prime partite a pallone le giocammo con una camera d'aria recuperata da un vecchio e distrutto pallone, rubato nei magazzini del Verbania Calcio, e che il primo paio di scarpe da pallone con i tacchetti a vite fu possibile comprarle, che ormai avevo quindici anni; così come ricordo con nostalgia, la televisione in bianco e nero, le sigarette vendute sciolte, la gazzosa con una pallina di vetro per tappo, il film in TV solo al lunedì e, unicamente per i fortunati che riuscivano a vedere la televisione svizzera, qualche volta anche al martedì.
Cose che sembrano ora, in quest'era di Play Station e di TV a pagamento, lontane migliaia di eoni.
Eppure ci furono, non tanti anni fa, gli

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   2 commenti     di: Tinelli Tiziano



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