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Racconti drammatici

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La ragazza di Kabul

Si può essere più felici di me?
Presto il giorno sconfiggerà questa notte, come noi, che col nostro amore abbatteremo la stupidità dei nostri padri.
Ma dove sei? Hai deciso di non venire?
Al solo pensiero il mio cuore protesta. Devi venire!
Un raggio di sole colpisce i miei occhi, riportandomi alla mente il nostro incontro nel polveroso mercato di Kabul. Io camminavo con mia madre, cercando di vedere oltre il burqa per non sbattere contro le bancarelle.
Da quando mio padre è morto e lo zio si è appropriato di tutti i nostri beni, per mangiare siamo costrette a chiedere la carità al mercato, ma è rischioso perché alle donne è proibito.
Quante volte siamo state picchiate con le canne dai talebani? Neppure lo ricordo più, ci picchiano sempre.
Vorrei tanto poter camminare per strada senza preoccuparmi costantemente per la mia vita, senza il peso opprimente del burqa, ma qui il destino di una donna è questo.
Ogni volta che mia madre allunga la mano e dice "Vi prego, fate la carità." Sento dentro una vergogna logorante. Perché tutto ciò? Non siamo come tutti gli altri?
Nascere donne dalle mie parti vuol dire essere inferiore, ma per me non sarà più così. Ora ci sei tu.
La prima volta che ti vidi, un uomo stava mangiando un tozzo di pane e dopo averlo addentato due volte, lo gettò a terra.
Io non mangiavo da due giorni, così mi affrettai a raccoglierlo.
<<Come osi!>> Aveva urlato lui alzando un bastone per picchiarmi.
Ho portato istintivamente le mani davanti al viso, aspettando il dolore che non è mai arrivato e caddi indietro.
<<Può bastare così.>> Aveva detto qualcuno trattenendogli il braccio.
Quello avrebbe senz'altro voluto picchiare anche te, ma sei un uomo, un suo pari, quindi si era limitato a borbottare <<Screanzato.>>
Mi sorridesti con aria serena, come se tutto fosse come doveva essere ed io ho dimenticato la paura.
<<Mi chiamo Talal.>> Mi dicesti porgendomi la mano, <<Ti aiuto ad alzarti.>>
"No! Non posso toccare un

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   7 commenti     di: Noir Santiago


La donazione degli organi

L’ambulanza corre veloce in mezzo al consueto e disordinato traffico, cercando di guadagnare più tempo possibile. Gli operatori della Croce Rossa sanno bene, che a volte, anche pochi minuti possono fare la differenza per evitare di superare quell’invisibile confine che divide la vita dalla morte.
Sulla barella giace disteso un bambino di circa nove anni, di nome Luca. Su di lui il medico del pronto intervento ha già predisposto i primi importanti presidi per la rianimazione, di cui la speciale ambulanza è dotata. Accanto a loro, confusa e disperata, c’è Alessia, la giovane mamma, che non potendo fare altro, tiene una mano sulla gamba del figlio, quasi a volergli trasmettere parte della sua energia vitale, per contrastare le conseguenze dell’improvviso incidente occorso a Luca, solo pochi minuti prima.
Incredula ed attonita, Alessia rivede la sequenza dell’incidente come se fosse un sogno, sperando che tutto ciò che le stia accadendo intorno sia solo un terribile incubo: suo figlio e lei, stanno camminando tranquillamente sul marciapiede, diretti al vicino semaforo. Lì avrebbero attraversato la strada per recarsi dall’altro lato per vedere alcuni negozi. Attendono che il semaforo pedonale dia loro il via libera ed appena si accende l’omino verde, Luca, con i riflessi e l’impulsività tipica dei ragazzi, scende con uno scatto dal marciapiede ed anticipa la mamma nell’attraversare la strada. In quel preciso istante, un grosso scooter, lanciato per attraversare l’incrocio, nonostante il giallo fosse già scattato da qualche secondo, diventato rosso, non riesce a fermarsi in tempo e piomba addosso a Luca che stava attraversando la strada. Nessuna manovra è stata possibile per evitarlo, in quelle condizioni, a causa della sicumera che sfacciatamente ed inconsciamente dimostrano molti guidatori delle due ruote e degli scooteroni in particolare, che hanno uno scarso senso del rischio.
Luca, investito in pieno, è scagliato a qualche metro

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   1 commenti     di: Sergio Maffucci


Ombra

il mondo in cui vivo mi f?? schifo, le solite vivide facce dei soliti stupidi uomini mi infondono il gorgogliante desiderio di vomitare, sopra questo ingannevole tempo scandito da persone che muoiono.
Io sono costretto a camminare tra intricati labirinti di responsabilit?? e colpe mentre il non mondo di chi non vive recluta adepti lobotomizzando cervelli con programmi televisivi agghiaccianti, teatrini di clown che per fottere una top model e tirare coca tutto il giorno si costringono a spettacoli scandalosamente ridicoli, e la gente seduta su sudici divani intenta ad ascoltare divora ogni singola goccia di sciocchezza riponendola nei ricordi ad interferire con i pensieri e la razionalit??
non è altro che un ininterrotto susseguirsi di disastri che sembrano sempre sul limite del culmine e vengono istantaneamente anestetizzati con tazzine di caffe e medaglie d'oro, modelli di cellulari, effetti speciali, vallette in bikini
per loro la vita f?? schifo, è troppa sofferenza, e per questo ci drogano ignettandoci litri di narcisismo che come eroina inibisce la nostra voglia di vivere


Camminava silenziosamente come un ombra sull'orlo del fiume attravarso un vialetto alberato buio in cui sferiche palle luminose segnavano il percorso, e il cinguettare continuo di uccellini notturni rendeva meno evidente il rumore della scure trascinata che con la punta strideva in modo metallico sulla ghiaia
si stava dirigendo verso il grande palco allestito per il concerto dell'anno, quasi tutta la citt?? sarebbe stata li sotto ad ascoltare l'ennesimo gruppo di jazzisti, era una citta non molto grande e la spiaggia sarebbe bastata a contenerne tutti gli abitanti, era una sera veramente perfetta ed il suo pubblico era pronto ad attenderlo in un fremito.
Anche se tra le mani teneva un enorme scure da combattimento il suo passo docile era sufficente a tenere fuori portata gli sguardi di tutta la gente che iniziava ad incontrare, forse pensavano fosse un gioco di plastica

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   5 commenti     di: Egon


Ferita mortale

Sono appena le sei del mattino. C’è chi a quest’ora è ancora a letto a dormire, chi ha appena aperto gli occhi, chi si sta preparando per uscire di casa e chi invece ora sta rientrando; c’è chi sta nascendo in questo momento e chi invece sta levando proprio ora il suo ultimo sospiro.
Io non sono tra questi, perché io sono diversa, diversa da tutto e da nulla: io non ho una sveglia da poter regolare a che ora mi pare e piace, io mi alzo quando lui mi chiama, potranno essere le due, le cinque, le undici di sera, non importa per lui, l’unica cosa importante, invece, è solo lavorare, lavorare ed ancora lavorare.
Oggi è Natale e tutto il mondo lo festeggia, ma io non faccio parte del mondo e perciò non è mio diritto festeggiarlo; per me è una giornata come tante altre, passata tra lavoro e pasti, anzi, quest’oggi mi tocca fare lo straordinario, perché molti lavoratori mancano.
Ora sono le sei e trenta, il capo ci lascia un quarto d’ora per fare colazione, ma io non ho niente da mangiare ed è perciò che mi limito ad osservare la città: oggi, a differenza degli altri giorni, tutto sembra più solare, sarà l’atmosfera natalizia!
Per le strade non c’è quasi nessuno, tranne qualche barbone o qualche cucciolo abbandonato; in cielo l’alba ancora verdastra si accinge a levarsi in alto verso la cima del campanile, ma nessuno sembra accorgersi della sua bellezza!
Il silenzio che avvolge la quiete mattutina è, per me, allo stesso tempo, impercettibile ed assordante!
Purtroppo è già ora, il capo mi rivuole al lavoro e mi tocca ritornare in fretta, prima che mi becchi qualche strigliata, o, addirittura qualche ceffone.
Oggi il mio turno termina alle sei di stasera, ma non si sa mai, forse il direttore mi vuole far rimanere per qualche oretta in più; ma oggi è di buon umore e alle sei mi lascia tornare a casa.
La mia casa è diversa da tutte le altre; è piccola e poca spaziosa ed è fatta di legno e stoffa messi assieme, inoltre, dentro

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Giacinta

Il temporale aveva brontolato sin dalla tarda sera; era arrivato dalla parte del Garda, come sempre, da est, carico di bile. Nello scuro della notte le nuvole non si potevano distinguere, se non per le saette che ne illuminano i contorni. Giacinta non chiudeva mai le imposte della sua camera da letto, così essa intravedeva, attraverso il tendaggio sottile, i lampi che abbagliavano la stanza, mostrando gli spigoli dei mobili lucidi, d'altri tempi.
Improvvisamente cadde un fulmine con un frastuono secco. Giacinta sentì i canarini, che teneva in cucina, agitarsi dentro la gabbia. Sbattevano le ali contro le barrette di alluminio. Pensò di alzarsi per rassicurarli, ma l'idea di uscire dal letto la fece desistere.
Attese ancora qualche minuto e i canarini si acquietarono. Seguirono attimi di sospensione, poi ecco lo scroscio impetuoso, una caduta d'acqua verticale, senza un filo di vento e cominciò la pioggia per l'intera notte. La primavera calda portava questi cambiamenti repentini. La giornata era stata molto afosa, ma ora sembrava che fuori casa si presentasse l'autunno.
Giacinta si chiuse tutta sotto le lenzuola, raccolse le ginocchia contro di sé e rimase ad ascoltare il rovistare della pioggia, il martellare delle gocce contro la grondaia e l'abbondanza d'acqua che in men che non si dica iniziò a sfogare dal vecchio tubo, per finire in un bidone addossato all'angolo dell'edificio. Non aveva paura del maltempo, si sentiva al sicuro nella casa dove abitava sola, dopo che via via, prima i fratelli poi i genitori, se n'erano andati sia per avventura sia per mala sorte.
" Devi avere una vita tua ", le vennero alla mente le parole di sua madre, quando anni addietro la rimproverava di starsene troppo in casa, di non avere amiche.
" Siamo preoccupati per te! " le sussurrava il ricordo del padre all'orecchio. Sentiva la voce di lui come se fosse stato davvero accanto, chino vicino al guanciale.
Nella vita di Giacinta tutti erano

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Piccola storia triste (da un fatto vero)

Valona, agosto 2000, il contingente interforze occupa un edificio mezzo diroccato, dove noi Italiani col nostro saperci arrangiare, abbiamo reso abbastanza vivibile, camerate da 10-12 posti letto, una cucina da campo dell’Esercito Italiano in piena efficienza, una grossa sala con un televisore munito di antenna parabolica, con alcune sedie, fungono da sala ricreativa, un ponte radio in continuo contatto con la sala operativa in Italia. Di fronte a questo edificio vi è un’altra struttura presidiata ed abitata dalla polizia militare Albanese, una specie di milizia pretoriana che, sulla carta ed in parte, combatte la mafia locale, ma piu’ delle volte è concussa con essa. Il Colonnello Adami già da sei giorni ha sostituito il comando del presidio Italiano, lo hanno sistemato un alloggio d’emergenza, da condividere con un Capitano ed un Tenente Medico, si era reso subito conto della situazione quasi precaria, e della sensazione di grande disagio con cui ogni giorno si doveva fare i conti, non ci si poteva allontanare dal presidio da soli ma in gruppo, ed armati poiché continue scorribande di sbandati, si spostavano in cerca di razzie o di regolamenti di conti tra bande rivali, nell'infermeria spesso si presentavano ragazzi feriti da armi da fuoco per non parlare di bambini che giocando con armi d’ogni genere spesso venivano colpiti da esplosioni o da pallottole sparate senza un motivo preciso o per qualche regolamento tra adulti!.
Quella sera il colonnello Adami si era sdraiato nel suo letto con una stanchezza profonda, il lavoro era davvero tanto, ma la sua spossatezza era piu’ che altro psicologica, da quando era arrivato nella Ex Albania i suoi occhi avevano visto solo miseria, povertà , abbandono e prepotenza, la guerra è da un pezzo finita ma quello che ha lasciato alle sue spalle è un popolo tutt’altro che liberato da schiavitù , tutt’altro che risollevato da un economia scellerata, un popolo che non ha ancora risolto n

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   1 commenti     di: Tony Fontana


L'età della ragione

La vecchiaia è il compimento della vita, l'ultimo atto della commedia (Cicerone)
* * *
Il sorriso dell'infermiera annulla per un attimo la puzza di piscio che contraddistingue i cronicari per vecchi. Non è cattivo odore, è molto peggio. Un fetore che sa di morte. I pavimenti lucidi, le pareti bianchissime, la formica dei tavoli che brilla non fanno che accrescere il contrasto. Una tortura crudele che nemmeno l'affetto e la gentilezza riescono a mitigare. L'attesa del nulla, una dimensione sospesa dove c'è posto solo per la sofferenza.
Nessuno può davvero dire di conoscere quello che si prova se non ci è passato. Chi entra e esce non può immaginare, non può sapere. Solo la speranza che tutto finisca presto ti aiuta a sopportare. Eppure anche lì, convenzioni e meccanismi resistono stoicamente. Intorno al tavolo del salotto il posto d'onore spetta alla cariatide più carismatica. La sedia a rotelle non sconfigge la vanità: un filo di rossetto, una patina rossastra che invece di nascondere le rughe ottiene l'effetto contrario. Qualcuno apprezza o fa finta. Una botta di vita.
Filippo evita di farsi coinvolgere, all'inizio per non sembrare scostante aveva giocato a tombola, ascoltato l'animatrice leggere articoli di giornale. Il film: decine di sguardi vuoti puntati sullo schermo. Si era sentito soffocare. Soltanto le lunghe passeggiate nel parco riuscivano a dargli qualche sollievo.
Spesso si chiedeva quanto può essere crudele la vita ma subito abbandonava quel pensiero, troppa la vergogna per non aver mai notato prima queste tragedie. Quando ti senti invulnerabile guardi con fastidio tutto ciò che può scalfire le tue certezze.
E adesso perché gli altri dovrebbero tenderti una mano? Lo spettacolo deve continuare...
Lisetta si avvicina, gli porge un pacchetto e un bacio sulla guancia. Il calore di quelle labbra per un attimo lo riportano a una dimensione dimenticata. Una annotazione sull'age

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   6 commenti     di: Ivan



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