username: password: dati dimenticati?   |   crea nuovo account

Racconti drammatici

Pagine: 1234... ultimatutte

La notte che ho incontrato un angelo Cap. V

Non riuscì a spiegarsene il motivo ma fin da subito si sentì inspiegabilmente attratta dal ragazzo che le sedeva di fronte, era incuriosita, stranamente eccitata e proprio non riusciva a capire il perchè di tanto interessamento. Apparentemente era un ragazzo come tanti altri se non fosse per quel... come definire quell'alone magnetico quasi tangibile che irradiava e che, pertanto, lo rendeva così irresistibilmente attraente ai suoi occhi? Quasi non riusciva a vederlo in viso intento com'era a scrivere o disegnare tranquillamente qualcosa su di un grande blocco per appunti; i capelli neri, lisci e lucidissimi gli coprivano la fronte, le sue mani erano lunghe, affusolate, mani che non avevano conosciuto la fatica, e ogni tanto lentamente le staccava dal blocco per passarle delicatamente tra i capelli, quasi una carezza, inutile tentativo di scostarli dalla fronte. Scuro di carnagione, doveva essere giovane, "molto più giovane di me" si sorprese a pensare Erica mentre lo osservava. Snello e muscoloso, le spalle ben delineate, sul braccio destro dalla t-shirt bianca spuntava un tatuaggio dal soggetto indefinibile, coperto quasi completamente dalla manica della maglietta.
"Chissà come si chiama" pensò meravigliandosi del suo interesse per quello sconosciuto, "Simòn" rispose il giovane in un sussurro e senza alzare lo sguardo. Lo pronunciò con un lievissimo accento straniero forse sudamericano: "mi chiamo Simòn, e ho da poco compiuto 30 anni. Era questo che ti stavi chiedendo vero?" continuò lui alzando finalmente il capo. Stupefatta oltre l'inverosimile Erica non riusciva a capire, era come ipnotizzata, come poteva aver letto nella sua mente, capire ciò che stava pensando, senza aver mai alzato lo sguardo su di lei nemmeno una volta? Solo quando finalmente riuscì a guardarlo negli occhi, solo allora capì, ebbe un sussulto, una scossa di adrenalina che sfrecciando veloce partì dal cervello ed esplose nel cuore... in quegli occhi, grandi scuri e profondi,

[continua a leggere...]



Pioggia

Venne risvegliato dal cigolio della porta che si stava richiudendo. Faticò a riconnettersi con la realtà, con quella realtà.
Si era addormentato appoggiando la testa sul tavolo. Un bicchiere di vodka ben stretto nella mano.
Poco più avanti, seduto ad un altro tavolo uno squallido individuo stava palpando il nudo deretano di una prostituta. Tutto intorno a lui un'umanità eterogenea era impegnata a dimenticare che il mondo si era dimenticato di lei. Risate si alternavano a gemiti soffocati e versi gutturali, tremori a sobbalzi e ammiccamenti, nel folle tentativo di esorcizzare i propri fallimenti esistenziali. Volti disfatti dall'alcol e dalle droghe, corpi seminudi, effluvi di umori che lasciavano nell'aria l'odore acre e pungente del sesso rubato.
La scena, offuscata dal denso fumo che galleggiava nell'aria oltreché da quello prodotto nella sua mente dalla vodka di cui aveva abbondantemente abusato, gli ricordò in maniera inquietante un'incisione della Divina Commedia ad opera del Dorè di cui aveva una riproduzione a casa.
Svuotò il bicchiere che teneva in mano emettendo un verso di evidente disgusto, poi si recò al banco dove il barista era affaccendato con due clienti alle prese con una sbornia.
- L'ultimo, Mario. -
- Meglio di no, Giorgio. Per questa sera basta così. Vuoi ridurti come loro?-
Il barista accennò in direzione dei due ubriachi che stavano dando in escandescenze a poca distanza, insultando lui e la sua famiglia in tutti i modi possibili ed immaginabili. Giorgio diede uno sguardo a quei due.
- Magari riuscissi ad ubriacarmi in quel modo, almeno potrei dirti quello che penso della tua schifosa vodka e di questo bordello!-
- Va' a casa, Giorgio! -
Gettò due banconote sul bancone e si avviò lentamente verso l'uscita. Sull'asfalto larghe chiazze d'acqua testimoniavano il passaggio di un forte temporale. Tirò su il bavero della giacca e s'incamminò. Fatti pochi passi, vide dietro delle auto parcheggiate una ragazza giovanissima

[continua a leggere...]



All'ombra del vecchio gelso

Amavo ascoltare i suoni delle more del grande gelso cresciuto accanto alla casa. Mentre camminavo scricchiolavano sotto i miei piedi e potevo vederle oltre il velluto dei miei pantaloncini ridursi morbidamente a una poltiglia colorata. La nonna avrebbe ritrovato presto sul pavimento di cucina i segni inconfondibili del mio passaggio ma in qualche angolo della mia infanzia anche il venire rimproverato da lei rappresentava un sottile piacere. Una piccola prova d'amore.
Se stavi in silenzio sotto il gelso, chiudevi gli occhi e scioglievi i rumori del trattore nel campo e degli uccelli sui fili della luce in un neutro sottofondo, potevi sentire le more cadere. Quel caratteristico suono prendeva vita così, dal nulla, senza alcun apparente motivo, con un lievissimo stormire di due o tre foglie che, subito sotto il punto da cui si era staccato il frutto, vibravano lievemente ma percettibilmente al suo passaggio. Dopo qualche frazione di secondo che sembrava un secolo ecco il "tump frrrrr!". Perché quando la mora raggiungeva terra, se era abbastanza matura e succosa, si depositava con forza sui piccoli ciottoli chiari spostandone qualcuno e producendo un caratteristico rumore. Se invece, cosa non così infrequente, cadeva su un'altra mora già finita a terra il rumore era più lieve, a volte impalpabile e ti lasciava lì, ad aspettare, come un viaggiatore che ha perso l'ultimo treno.
La cosa che ricordo meglio, è strano, era l'odore, quel forte e pungente odore, che portava la fresca aria della campagna dopo ogni pioggia e non si trattava di un odore comune. Anzi, mai sentito altrove. Voglio dire che mai, davvero mai, mi è capitato di sentirlo come lo sentivo in quel caro fazzoletto di toscana. Non so se davvero non lo si possa udire altrove oppure se semplicemente i nostri ricettori olfattivi, invecchiando, non siano più in grado di percepire allo stesso modo gli odori. Altre volte, in altre vite, dopo una pioggia, una sola nota olfattiva ha riportato la

[continua a leggere...]

   0 commenti     di: Antonio Viciani


Le nostre domeniche

<<Mi sono sempre piaciute le nostre domeniche.>> Dice Robert abbracciando Sara.
<<Anche a me, Rob>>
Il ticchettio della pioggia si fa più insistente contro il vetro della finestra.
<<Lo senti?>>
<<La pioggia?>> Domanda incerta lei.
Lui non risponde, si alza per affacciarsi alla finestra. L'aria profuma di pulito, come sempre quando la pioggia arriva inaspettata.
<<Rob, che fai?>>
<<Tutto mi appare diverso. Quante volte ci siamo fermati a vedere un temporale?>>
<<Tante.>> Risponde Sara cominciando a singhiozzare.
La città gli appare sconfinata. Non sembra la stessa, eppure lo è.
I tetti sembrano più rossi, perfetti. Non si era mai accorto che la facciata della casa di fronte fosse imbrattata da un murales. È tutto così vivido.
<<Vieni a vedere com'è tutto perfetto! Perché non ce ne siamo mai accorti?>>
Sara scuote la testa e gli fa cenno di andare a sedersi vicino a lei.
Rob si avvicina, si siede sul letto. Anche quello gli pare estraneo, diverso, non aveva mai prestato attenzione alla sua morbidezza.
Sara lo guarda. È Rob con i suoi occhi verdi, ma ha ragione lui, è diverso.
<<Lo sai cos'è perfetto?>> Dice accarezzandogli il viso, <<la nostra amicizia è perfetta.>>
La voce le si strozza in gola, esce dalla bocca come l'ultimo respiro di un morente.
China un attimo lo sguardo, tira su col naso e poi torna a guardarlo. Non è possibile che quello che le ha detto sia vero.
<< Rob, è impossibile.>>
<<Lo penso anch'io, ma devi aiutarmi.>> Ammette stringendola forte. <<Abbiamo giurato che ci saremmo aiutati sempre, ricordi>>
Sara annuisce, il cuore le batte all'impazzata come per toccare quello di Rob.
Lo osserva meglio. Il suo viso sembra proprio lo stesso. Fa scorrere un dito sul sopracciglio diviso dalla caduta dal motorino, percorre i solchi ai lati del naso, gli tocca le labbra, sembra tutto normale.
Le sorride.
<<Stai sorridendo. Se fosse vero come potresti?>>
<<Mi vengono in mente i pomeriggi d'estate, quando eravamo bambini.

[continua a leggere...]

   5 commenti     di: Noir Santiago


Storia di Nessuno che ha incontrato il Niente

Questa è una storia di poche pretese. Anzi, comincia come tante le altre: Vi una persona, un luogo e un tempo. E in questa, come in tante innumerevoli occasioni, si interrogano, si analizzano, si conoscono.
Solo una sottile ombra la differenzia dalla realtà e il noto: la situazione. La situazione in cui questi tre elementi s'intrecciano. Come un una foglia morta fuori stagione, come una persona che è nata dalla madre sbagliata, o come un segnale errato che ha scatenato una carica suicida in guerra, questa storia è sbagliata nel momento che è cominciata. L'assurdità, la coincidenza e la sfortuna si sono incontrati insieme, per caso, forse. O forse, più giustamente, per sbaglio. E adesso, un UOMO, il cui nome è insignificante, ha incontrato un LUOGO in uno spazio proibito, in un TEMPO dove mente e corpo si perdono come gocce di lacrime, disperse nell'eterne distese oceaniche di Europa. L'infinito è una luce troppo brillante per un mortale, il cervello umano troppo fragile per così tante informazioni, cosi tante immagini del nulla assoluto. Questo uomo capitò in un luogo dove l'Infinito e l'Eterno si scontrano con giochi di colori che non ci possiamo neanche immaginare, con colori che l'uomo non ha mai visto ne mai doveva farlo. Questa indifesa creatura vide, e soffrì, succube di un cervello impaurito, capace solo di rigettare l'impossibile comprensione di quelle immagini. Ma come distruggere tale ricordo? Come cancellare tale splendore? Piangevano i suoi sensi, rimbombava nel cuore l'anima.
Il povero umano tanto gridava di dolore quanto di terrore, così che le sue grida disperate furono trasportate dai venti solari, riempiendo di tenebrosi sentimenti i campi dell'ombra. Persi nel tempo, da millenni eterni. Sopravvivenza azzannò la disperazione, e la voce venne soffocata dal bisogno di riprendere fiato. Cancellare il terrore con la logica.
Ma in questo istante di silenzio, in quel secondo così caro ma perso nel diagramma del tempo, il disperato si ac

[continua a leggere...]



La Leggenda della Settima Figlia

Carpino, provincia di Foggia.

Questa è una storia vera, che riporto così come mi è stata raccontata.

Viveva in un grande appartamento al secondo piano un vecchio molto ricco, ex ufficiale dell'esercito durante la Grande Guerra.
Era il 1955, e ormai si avvicinava ai 90 anni. Semi-invalido, passava le giornate a letto. Due persone di servizio andavano da lui ogni mattina alle 8, per prestare servizio fino alle 19, ora in cui andava a dormire nel grande letto di legno scuro.

Il palazzo era completamente disabitato, a parte il suo appartamento. Gli altri locali completamente vuoti davano allo stabile un aspetto fatiscente. Anche l'appartamento del vecchio ufficiale era fatiscente. I muri antichi trasudavano umidità secolare e ormai scrostati avevano assunto un colore grigiastro. I pesanti mobili, segno di antica ricchezza, ormai corrosi dal tempo. Nonostante questo, si diceva in paese che gli antichi armadi conservassero soldi, gioielli, ricchezze inaudite di paesi lontani.
Nell'intrico di vicoli bui che si arrampicavano sulla collina le persone pensavano a questo, quando passavano sotto casa sua, guardando la finestra sempre aperta al secondo piano.

Ed è così che in quei tempi bui sette sorelle, la più piccola 16 anni, la più grande 25, decisero di derubarlo.
Una notte di agosto camminarono in silenzio lungo i vicoli, salendo scalinate, attraversando angoli bui e arrivando finalmente sotto la porta del palazzo.
Sapevano che la servitù era già stata congedata.

Non si sa in che modo entrarono nell'appartamento, forse arrampicandosi e sfruttando una finestra aperta per la calura estiva, o se semplicemente forzarono la porta.
Fatto sta che entrarono nella camera dell'ex ufficiale, svegliarono il vecchio, lo buttarono giù dal letto e, prendendolo a calci, lo costrinsero a strisciare verso l'armadio dove teneva i suoi averi. Aprirono ante, svuotarono cassetti, presero con ingordigia tutto ciò che trovarono. Stavano uscendo, quando la più picc

[continua a leggere...]

   1 commenti     di: paolo molteni


Perdono

Kevin arrivò al cimitero di buon ora (non erano ancora suonate le nove) e si diresse alla tomba di Dana Matthews.
Era appena cominciato l'inverno e faceva un freddo glaciale, ma le aveva promesso di andare a trovarla e mai avrebbe rinunciato a quell'impegno.

Dana era conosciuta da tutti come una criminale facente parte di una banda che mesi prima aveva sequestrato un treno con la minaccia di farlo deragliare se non ci fosse stato un grosso riscatto. Il piano fallì e i passeggeri si salvarono quasi tutti grazie all'impresa di un piccolo gruppo di essi; o almeno così dissero tutti i giornali e i notiziari, ma non era l'esatta verità.
Kevin era uno dei pochi a sapere realmente come si erano svolti i fatti; egli infatti faceva parte dei passeggeri assieme a sua moglie e alle due figlie. Fu uno degli artefici della disfatta dei criminali, ma sapeva bene che tutto ciò riuscì solo grazie all'aiuto di una sola persona.
Il suo nome era proprio Dana Matthews, la quale si era rivoltata contro i suoi stessi compagni per salvare quegli innocenti. Ci aveva rimesso la vita per farlo, ma nessuno lo sapeva. Quasi nessuno.
Kevin invece sì e sapeva anche che in un agguato dei criminali aveva portato in salvo sua moglie e le sue bambine poco prima che venissero uccise.
Alla fine era morta proprio fra le sue braccia dicendogli qualche parola tra le lacrime.
"Spero solo che... che almeno tu possa perdonarmi."

Si stupì di vedere un uomo davanti alla sua lapide e lo stesso accadde quando quest'ultimo lo vide avvicinarsi.
"Non mi dica che è qui per visitare questa tomba?" gli domandò lo straniero.
"Perché mi fa questa domanda?" replicò lui guardandolo attentamente e notando una vaga somiglianza con Dana.
"Perché finora nessuno l'ha mai visitata a parte me; è la lapide di una criminale, chi potrebbe volerla piangere.
"Allora lei è suo parente giusto?"
"Sono suo fratello," rispose questo. "Anche se dopo aver saputo del suo stile di vita non l'ho più vista ne

[continua a leggere...]




Pagine: 1234... ultimatutte



Cerca tra le opere

La pagina riporta i titoli delle opere presenti nella categoria Drammatico.