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Racconti gialli

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Solo un bastardo

- tokka a te dare l'akkua e nn t fa sgamà. - L'sms di Cisco arrivò appena finito il cheesburger e all'inizio delle patatine. Non ho mai capito la predilezione di certi individui per la lettera cappa. Posso arrivare ad accettarne l'uso per economizzare una parola qualora possa far risparmiare una o due lettere. Usata così però m'irritava. Cisco d'altronde era un individuo estremamente rozzo, un uomo di 35 anni col cervello di un quindicenne.
- Cheppalleee!! - sbottai. Mi alzai dal tavolo con lo sguardo rassegnato e vagamente schifato di Cristina puntato sulla mia maglietta, proprio dove mi si era stampata una grossa macchia di maionese. - Devo andare a Fogliano un attimo, che fai, vieni con me? - le chiesi mentre strofinavo un tovagliolino su quella chiazza oleosa che per vendicarsi aveva raddoppiato la sua dimensione. - A fare cosa? - domandò lei sempre fissa sulla maionese e con gli angoli delle labbra sempre più piegati verso il basso. - Una cosa!... che fai, vieni o no?- Tagliai corto.

Durante il percorso in motorino dalle autolinee a Via del Mare avrebbe voluto raccontarmi dell'ennesima discussione avuta con la madre la sera prima perché l'avevo riaccompagnata dopo mezzanotte. Ma io in quel momento non avevo alcuna voglia di sentirla. Presi la stradina per il lago e in quel fuoripista scellerato tra rovi e buche, intuii, da come mi stritolava le costole, che stesse protestando animatamente.

Giungemmo alla piccola baracca abbandonata. Era malconcia e maleodorante ma era sempre stata un buon riparo. Cristina stava come al solito masticando una gomma nella sua tipica e generosa ampia gestualità mandibolare e aveva cominciato a sbottonarsi la camicetta con aria inespressiva e ancora con il casco in testa. - Cri guarda che non siamo qui per trombare! - la redarguii. - Ah... e che dobbiamo fare? - domandò.

Cristina non è una ragazza molto sveglia, ma a me piace. A parte alcuni momenti nei quali sembra totalmente assente col cervello, è una per

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La promessa

Mara entrò in casa tremante e a piccoli passi si diresse verso la cucina.
Fabiana e Asia asciugavano i piatti e intanto scherzavano ridendo. Mara rimase sulla porta.
Quando le due la videro si precipitarono su di lei.
Teneva le mani insanguinate strette fra loro come a proteggersi il cuore, macchiando l'impermeabile bianco che indossava.
"Dio mio, che ti è successo?"
Fabiana l'abbracciò e la sentì tremare, quindi la fece accomodare sul divano in salotto. Sul tavolino le due sorelle notarono un coltello insanguinato.
Dopo qualche minuto durante i quali cercarono di farla calmare, si fecero raccontare cosa le fosse accaduto.
"Aveva alzato la voce, e mi aveva picchiata di nuovo."
"Di nuovo?" domandò Fabiana.
Asia la fissò.
"Lasciala finire."
Mara riprese: "Ho preso la prima cosa che ho trovato e l'ho colpito."
Dopo una mezz'ora di racconto, Asia cercò di tranquillizzarla.
"Ascoltami, è stato un incidente, non volevi farlo."
"Tu lo sapevi?", domandò Fabiana con un pizzico di ribrezzo nella voce.
"Non è il momento", disse la sorella maggiore scandendo bene le parole.
Allora Fabiana si alzò, inclinò il viso e domandò: "E quando sarebbe il momento?"
"Non ora. Non vedi che è sconvolta?"
"Certo che lo è! La picchiava, tu lo sapevi e non hai fatto niente!"
"Basta!", esordì a voce alta Mara.
Le due sorelle la fissarono farsi piccola sul divano.
Sembrava stesse per scoppiare dalla collera, invece disse solo: "Dobbiamo andare alla polizia, e raccontare cos'è successo."
Asia non disse niente. Fabiana si sedette sul divano vicino alla sorella minore.
Le raccolse i capelli su una spalla, e disse: "Ora ascoltami: è di estrema importanza che quello che ci hai raccontato stasera non esca mai da questa casa."
Mara la fissò, gli occhi arrossati dal pianto.
"Non è possibile..."
"Lo so come ti senti, credimi, ma io non permetterò a nessuno di farti del male. Non doveva neanche azzardarsi a fare quello che ti ha fatto."
Mara p

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   9 commenti     di: Roberta P.


Nessuno saprà

Dovevano essere le tre. O forse le quattro. Del mattino. Non attendevo nessuno eppure il rumore sordo del campanello della porta mi riportò alla realtà, da un sonno piacevole e profondo. Non sapevo quanto tempo fosse che stessero suonando, ma chiunque si trovasse dietro quella porta mostrava una gran smania di vedermi. Pesantemente assonnato, mi diressi verso l’ingresso infilandomi una vestaglia di flanella, accesi la luce e, senza neppure chiedere chi fosse, aprii sbadigliando.

- Si ricorda di me? ?" disse il tale. Non ero particolarmente vigile ma il cervello, nonostante il torpore dovuto al brusco risveglio, non tardò ad elaborare il curioso volto di quell’uomo.
- No, non mi ricordo di lei. Ci conosciamo? - pronunciai quella frase strizzando gli occhi, quasi che serrare le palpebre potesse aiutarmi a dare un nome al mio visitatore.
- Qualche giorno fa, signor Mansholt. ?"
Non risposi subito, la memoria produsse un ulteriore tentativo per riconoscere quel tizio ma l’esito non fu soddisfacente.
- No, mi perdoni ma davvero non ricordo. Posso aiutarla in qualche modo? L’ora non è delle più congeniali per una visita signor…. ?" rimasi in attesa di conoscere le generalità dell’uomo. Forse il nome o il cognome mi avrebbero aiutato.

L’uomo entrò in casa senza attendere un mio cenno d’invito. Posò il cappello sulla poltrona, sfilò il cappotto e lo adagiò sul divano. Si mostrava perfettamente a suo agio e la cosa mi parve quanto meno singolare. “Un uomo piomba in casa mia nel cuore della notte ed io non so neppure chi sia…. o almeno non lo ricordo”. Fui colto da un lieve senso di smarrimento che, tuttavia, tentai di celare agli occhi del mio ospite inatteso. Si accomodò nel salotto, evidenziando una conoscenza perfetta della dislocazione delle stanze del mio appartamento. Mi colpì l’eleganza del forestiero. Indossava un abito francese dal taglio impeccabile, una cravatta morbida e dai colori caldi e delle scarpe lucide e

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99 bottiglie d'annata

La villa era immersa nella nebbia di novembre e sembrava un grande dinosauro dormiente adagiato nella radura.
Al maresciallo Maestrale non piaceva occuparsi di furti come quello commesso nella villa dei marchesi Giacobitti di Colfosco Ripa Zanfretta ma, ogni tanto, gli capitavano casi leggeri come quello di quella mattina.
Era stato rubato un mobile antico.
I marchesi erano famosi, a livello regionale, per i loro vini. Alcune annate avevano vinto premi prestigiosi in passato, ma recentemente il loro marchio era un pochino decaduto.
La villa era un maniero gigantesco, triste, anche stanco a giudicare dai pezzi di intonaco che cascavano dalle pareti esterne qua e là. Era abitato solo nella parte sud. L'ala nord era adibita a magazzino per i vini e ad est era stata costruita una sorta di dependance dove erano piazzati i macchinari per la produzione del vino. Tutto intorno alla magione si estendevano a perdita d'occhio filari di uve.
Il maresciallo Maestrale entrò nella villa di malavoglia, avrebbe gradito un buon caffè, ma era sicuro che in quella casa nessuno si sarebbe mai sognato di offrirglielo.
Gli aprì un signore grassottello, completamente calvo e con un tic insistente che gli faceva muovere la spalla sinistra in senso rotatorio, quasi che il servitore dei marchesi stesse sempre tentando di rilassarne i muscoli.
"Buongiorno sono il maresciallo Maestrale. Sono qui per il furto. Posso parlare col marchese?" chiese.
"Quale marchese?" chiese l'uomo.
"Quello che abita qui" disse il maresciallo già irritato e quale marchese se no? Quello dimezzato?
"Intendevo dire quale marchese: quello giovane o suo padre?" rispose annoiato il maggiordomo.
"Quello che ha sporto denuncia per il furto, "estrasse un taccuino e lesse "di una tecca del 1400". Alzò gli occhi verso l'omuncolo che lo guardava con sufficienza.
"Una teca, vorrà dire, un armadio, del 1400 prezioso come un quadro di Leonardo, costoso come un Picasso, delicato come un mosaico bizantin

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L'assassino immaginario

Se è vero che la vita
imita l'arte,
sarà bene avere sempre
un buon avvocato
a portata di mano.





Succede di essere assaliti da dubbi esistenziali. Da dove veniamo? Qual è il fine ultimo dell'uomo? Quanto c'è di vero nei sogni? Così come può capitare di sentirsi un po' strani. Chiedersi se siamo davvero noi o qualcun altro. Esseri reali o immagini della mente. Padroni o vittime delle nostre azioni. In genere non ci facciamo caso più di tanto. Fa parte della vita. Le difficoltà, le preoccupazioni, lo stress... già! L'importante è che tutto si risolva nel giro di pochi minuti. Qualche ora, al massimo. Che, così come viene, ogni perturbazione psichica se ne vada. Dissolva senza lasciare tracce visibili. Prove che possono portare a dubitare di noi. Della nostra integrità. Fino a incriminarci...
Non fateci caso, ho appena iniziato a scrivere una storia che si presenta densa di avvenimenti drammatici, dove mi sa tanto che ci scapperà il morto. Ogni volta, prima di immergermi nella scrittura, anche la più amena, attraverso una lunga e tortuosa fase di preparazione. Un training mentale che mi porta a calarmi anima e corpo nell'atmosfera di una trama che ancora non esiste. O è appena abbozzata. E allora comincio con l'entrare nei personaggi. Fare che i personaggi entrino in me. Una sorta di metodo staniwslasky fatto in casa, insomma. Da cui esco solo per andare al cesso, scorrere i titoli del giornale, e mettere qualcosa sotto i denti. Un percorso faticoso, talvolta rischioso. Il tributo che probabilmente ogni artista deve pagare se vuole lasciare la propria impronta. Nei casi estremi, un'esperienza che può trasformarsi in via crucis. Talvolta in vera e propria ordalia. L'importante è uscirne vivi. Come dice sarcastico Allen: ... tornare a casa per l'ora di cena.

Sono tre giorni che mi ha preso il blocco. Il foglio è là. Fa capolino dalla mia Underwood rosso lampone. Candido, liscio, e illibato come appena est

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Il ritorno della pazzia

Avevo cambiato casa da sei mesi circa, ed ero felice della scelta che avevo intrapreso. Avevo trovato un piccolo impiego come commessa presso una libreria.
La mia empatia c'era, non era cessata, ma d'altronde non ci speravo più di tanto. Sapevo che avrei dovuto imparare a conviverci e a dominarla.
Era il martedì di una mattina presto. Aprii gli occhi e allungai la mano per staccare la musica della sveglia. Dico musica perché ero stufa del solito bip e così avevo optato per una fra le tante canzoni che mi piacevano: "Solsbury hill" di Peter Gabriel.
Il display segnava le sei. Mi alzai, anche se controvoglia, e mi trascinai in bagno per una doccia.
Dopo andai in cucina e misi sul gas il pentolino col latte e la caffettiera col caffè. Tirai fuori dall'armadietto un pacco di biscotti, la tazza e recuperai un cucchiaino dal cassetto.
Accesi la TV e andai a prendere la posta sul mobiletto dell'ingresso mentre attendevo che il caffè uscisse. Poi tornai in cucina.
<<Ieri sera sono avvenuti nuovi scontri tra bande simpatizzanti di destra e di sinistra. Gli inquirenti hanno fatto sapere che ci sono stati feriti...>>
Mostrai la mia perplessità e commentai: "Finché ci saranno partiti razzisti al governo, cosa ci si può aspettare dalla cittadinanza?"
<<... ed ora passiamo ad una notizia di cronaca: è stato ritrovato nei pressi della zona di San Salvario, un corpo completamente bruciato...>>
Lentamente alzai la testa dalle bollette e la fissai sullo schermo. Mi avvicinai e alzai il volume.
<<... l'identità è ancora un'incognita, ma la Scientifica è già sul posto.>>
Sapevo che mi stava cercando. Diodeo mi stava cercando da sei mesi: da quando avevo fato fallire il suo diabolico piano.
Non sapevo quando si sarebbe fatto vivo, fino ad allora. Quel cadavere portava sicuramente la sua firma.
Ragionai, anche se non sapevo bene su cosa. Non sarebbe stato necessario andarlo a trovare: lui avrebbe mantenuto la sua promessa, mi avrebbe cercata e

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   15 commenti     di: Roberta P.


Pulp-eggiando il Giallo, cap. 1

Ore 5. 00 In Fellatio-city


-Ehi, pensi davvero che possa aiutarmi? Son disperata. Non riesco più a vivere... cioè, è una situazione davvero molto delicata.
-Tranquilla. È il migliore nel settore dell'investigazione privata e, se pagato bene, risolve anche i casi più strambi. È anche uno psicologo, mi sembra. Una volta nonna aveva problemi con un demone che le infilava il mattarello su per il retto. Bè, cara mia ora non si fa più vedere!-
-L'importante è che non mi prenda per pazza. Ho già una nominata orrenda con tutti i dottori e psicologi della città.
-Vai tranquilla. Parlane con lui. Fidati di me. Ma dimmi, come mai il tuo caso è così contorto?!
-Don Giorgio. Ti ricordi di lui?
-Certo che si. È morto tipo 10 anni fa. Era il parroco del S. Durazzo. Quindi? Cosa c'entra?!
-Ecco... riesce a possedermi... nel sonno.
-Ahahaha ma non dir cazzate, su!!!! Vuoi farmi credere che il fantasma di Don Giorgio ti molesta nel sonno?!
-Ecco, vedi? Ha parlato quello della nonna inculata dal mattarello! Ah, speriamo sia bravo sto tizio.


Ore 7. 00
Alan si era appena svegliato, era in mutande, e stava consumando la sua solita colazione: una caffettiera intera e tre sigarette. Ad un certo punto sentì bussare alla porta.
-Buongiorno.
-Salve... scusi lo stato pietoso in cui mi trovo. Entri pure, e si accomodi sul divano.
Il divano di Alan era sudicio, scucito e puzzolente. Ma a lui piaceva. Era stato tana di grandi battaglie quel divano. Era li che aveva avuto lo scontro finale con la grassona dell'Autogrill. Ed era lì che aveva concepito Greg, suo figlio ed aiutante. Sempre sul medesimo divano era solito leggere riviste porno e romanzi Horror, e star stravaccato a guardare la Tv. Ma torniamo alla nostra storia..
-Allora, chi le ha dato il mio indirizzo miss..
-Alice. Alice Marchetti. E il suo indirizzo mi è stato dato da Harry Hellis.
-A si, ricordo il caso di sua nonna.. poveretta, situazione davvero spiacevole. Pensi che non ha cagato per

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