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Racconti gialli

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Doppio intrigo per Norman Parker -conclusione-

Venerdì 25 febbraio ore 9, 00
Ho controllato il nostro casellario giudiziario e l’uomo denominato vittima numero due non risulta essere schedato. ?"affermò Gordon- Scoprirne l’identità non sarà semplice neanche per te caro Parker.”
“Può darsi che tu abbia ragione, ma potrebbe anche essere più facile di quanto tu possa credere.”
“Cosa intendi dire?”
“Vedi, mio buon amico, il fatto che quell’uomo sia stato trovato morto nel palazzo di Hunter, non indica necessariamente che l’autore del delitto debba essere il maestro, ma prova senz’altro che i due si conoscevano. Tuttavia se vuoi la mia opinione, credo che la cosiddetta vittima numero due sia la stessa persona vista dal custode salire da Hunter prima che quest’ultimo sparisse. Supponiamo che Hunter avesse un movente che lo avesse indotto ad ucciderlo, supponiamo anche che non vi era alcuna premeditazione. L’uomo si presenta senza preavviso a casa del maestro, entra nella sua casa e qualche minuto dopo scoppia un violento diverbio, Hunter perde il controllo e con il primo oggetto che gli capita sottomano sferra, senza misurarne la violenza, il colpo fatale. A questo punto, resosi conto di ciò che ha fatto, cade in una totale confusione, non vuole chiamare la polizia, forse non può. Inizia a fare cose senza senso. Per prima cerca di far sparire ogni traccia della visita dello sconosciuto pulendo le sue impronte sia dall’appartamento che dal ballatoio, poi cancella la stella che l’uomo, chissà perché, aveva disegnato sulla sua porta quindi indossa il mantello del malcapitato inclusi sciarpa cappello ed occhiali scuri. Esce dal palazzo e passando davanti alla guardiola saluta il custode che non si accorge del travestimento. Una volta in strada si libera del travestimento e si reca a teatro. Con insospettabile sangue freddo dirige la sua orchestra. Chi mai potrebbe sospettare che ha appena commesso un omicidio e che la vittima è chiusa nel suo appartamento? Du

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piadina a metri 100 (1a puntata)

In un cielo sgombro dal Mito, protetto al di sotto di un pigro capannello di nembi, il falco pellegrino veleggia sfruttando colonne invisibili di aria calda. Come una piccola divinità veglia indifferente la lunga riga grigia, generata dallo stilo di Emilio Lepido, che da Mediolanum passando da Bononia giunge sull’Adriatico.
Quella Domenica calda di una Estate calda il mondo va in ferie.
Il caporedattore di un news di internet difficilmente può permettersi una lunga vacanza estiva, tanto più lui l’ “indistruttibile” Bartoli, detto dai colleghi della redazione “Bartok” per i suoi modi rapidi ed essenziali di gestire le notizie che giornalmente deve metabolizzare per la ”rete”.
Nel capace bagagliaio della station-wagon, in un angolo, tra le valige, sta in paziente attesa, ben imborsato, un potente computer portatile dotato di modem e di tutte le periferiche necessarie; tre telefoni cellulari lo minacciano dall’interno del cassetto nel cruscotto dell’auto e un fortissimo senso di efficenza lo pervade rendendo il giornalista fastidiosamente ansioso.
La tensione gli conferisce una parziale immunità al senso di claustrofobia dovuto al suo stare immobile in fila tra le altre migliaia di forzati dell’estate in riviera costretti al tradizionale rito iniziatico delle code in auto, colorate, massicce, nauseabonde per i gas di scarico e deformate dalla spessa aria calda d’Agosto.
Per uno come lui votato alla rapida semplicità delle cose, il lavoro costituisce una dimensione naturale ben diversa dal “quasi matrimonio” con Louise, dal “quasi rapporto” con Francesca e le incerte avventure da pub, cercate come terapia distensiva. Certo è per ciò che la sua solitudine lo rende vagamente pago, senza alcuna pulsione o bisogno particolare.
Fermo con il climatizzatore al massimo freddo, un buon CD di John Coltrane nello stereo, guarda con distacco decrescente al di fuori dell’abitacolo dove al di sopra di magliette griffate da caimani, c

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Un Particolare Degno di Nota

La vicenda si svolse molto velocemente.

Era la sera del 19 luglio. Tommaso aveva parcheggiato a pochi metri dalla ringhiera sul belvedere. Un panorama stupendo, il crepuscolo e la città ormai illuminata sotto di lui. Stava ammazzando il tempo, in vista dell'appuntamento che aveva un'ora dopo, alle dieci, in un locale del centro. Fermo dentro la macchina, sorseggiava una birra. Un cd dei Pink Floyd con le sue melodie maestose echeggiava nell'abitacolo; "Animals" - stava pensando - pur essendo poco considerato tra gli estimatori del gruppo, lo aveva sempre emozionato per quel senso di epica maliconia che emanava. D'estate era scelta obbligata.

Osservava dallo specchietto retrovisore i movimenti che avvenivano nella piazza. In realtà non c'era nessuno a quell'ora, era troppo presto per le passeggiate del dopocena e troppo tardi per gli aperitivi. Abbassò un attimo lo sguardo verso l'autoradio per mandare avanti di due canzoni, poi riprese le sue osservazioni. Finalmente un'anima viva, anzi, tre.

Erano due uomini, di spalle, e una ragazza, in mezzo. Parlavano in modo tranquillo. Dopo i fatti che accaddero quella sera i due furono fermati quasi subito, e Tommaso si ritrovò in un commissariato di polizia come testimone oculare di un omicidio.

Il verbale firmato da Tommaso e controfirmato parola per parola durante il processo riporta oggettivamente tutti gli eventi.

"Io Tommaso G., nato..., ero fermo in macchina quando vidi due uomini e una donna. Erano tutti e tre di spalle e camminavano tranquillamente discutendo in modo che a me sembrava sereno"

"Sa descrivere le tre persone?"

"Gli uomini erano di spalle, altezza media entrambi, vestivano di scuro, questo è quello che ricordo. La donna invece un vestito chiaro, capelli lunghi lisci"

"Cosa vide poi?"

"Parlavano, dicevo. D'un tratto, senza nessun indizio premonitore, l'uomo sulla destra sollevò la donna e la gettò giù dalla ringhiera. Sentii un urlo e poi un botto. In principio ebbi

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   3 commenti     di: paolo molteni


99 bottiglie d'annata

La villa era immersa nella nebbia di novembre e sembrava un grande dinosauro dormiente adagiato nella radura.
Al maresciallo Maestrale non piaceva occuparsi di furti come quello commesso nella villa dei marchesi Giacobitti di Colfosco Ripa Zanfretta ma, ogni tanto, gli capitavano casi leggeri come quello di quella mattina.
Era stato rubato un mobile antico.
I marchesi erano famosi, a livello regionale, per i loro vini. Alcune annate avevano vinto premi prestigiosi in passato, ma recentemente il loro marchio era un pochino decaduto.
La villa era un maniero gigantesco, triste, anche stanco a giudicare dai pezzi di intonaco che cascavano dalle pareti esterne qua e là. Era abitato solo nella parte sud. L'ala nord era adibita a magazzino per i vini e ad est era stata costruita una sorta di dependance dove erano piazzati i macchinari per la produzione del vino. Tutto intorno alla magione si estendevano a perdita d'occhio filari di uve.
Il maresciallo Maestrale entrò nella villa di malavoglia, avrebbe gradito un buon caffè, ma era sicuro che in quella casa nessuno si sarebbe mai sognato di offrirglielo.
Gli aprì un signore grassottello, completamente calvo e con un tic insistente che gli faceva muovere la spalla sinistra in senso rotatorio, quasi che il servitore dei marchesi stesse sempre tentando di rilassarne i muscoli.
"Buongiorno sono il maresciallo Maestrale. Sono qui per il furto. Posso parlare col marchese?" chiese.
"Quale marchese?" chiese l'uomo.
"Quello che abita qui" disse il maresciallo già irritato e quale marchese se no? Quello dimezzato?
"Intendevo dire quale marchese: quello giovane o suo padre?" rispose annoiato il maggiordomo.
"Quello che ha sporto denuncia per il furto, "estrasse un taccuino e lesse "di una tecca del 1400". Alzò gli occhi verso l'omuncolo che lo guardava con sufficienza.
"Una teca, vorrà dire, un armadio, del 1400 prezioso come un quadro di Leonardo, costoso come un Picasso, delicato come un mosaico bizantin

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Empatia

Il direttore dell'azienda condusse me ed il mio partner Aquilani fino alla stanza degli spogliatoi maschili, e spiegò: "L'hanno trovato qui due ragazzi verso le undici. Aveva finito il turno."
Abbassai gli occhi: il corpo se ne stava in terra coperto da una cerata gialla. C'era odore di disinfettante, segno che i ragazzi del coroner avevano ripulito il sangue.
Mi misi sulle ginocchia e scostai appena la cerata. Nel vedere i suoi occhi spalancati, mi ritrovai a pensare a quanto doveva aver sofferto a beccarsi dieci coltellate, e a sapere di star morendo. Socchiusi per un istante i miei, nel vano tentativo di scordarmi il suo volto straziato. Poi lo ricoprii e mi alzai.
Mi imposi con le mani sui fianchi, e osservai il posto: era uno stanzone stracolmo di armadietti, e poco illuminato.
"Chi ha accesso all'area riservata al personale?", domandai.
"Nessun altro. I dipendenti sono gli unici a poter entrare qua."
"Quanti ne conta più o meno questa azienda?"
Il direttore ci pensò su e consultò il collega.
"Circa trecento."
"Immagino che tutti disponiate di un passi o qualcosa del genere."
"Sì, naturalmente."
Il secondo uomo però obbiettò quasi subito.
"Beh, non è del tutto esatto. I tirocinanti e gli stagisti non ne possiedono."
"E per entrare o uscire come fanno?", chiesi io.
"Suonano il campanello, e gli addetti alla sicurezza aprono."
Annuii e feci qualche passo per ispezionare il posto.
Non sapevo bene il perché, ma quella stanza aveva qualcosa di familiare. Forse mi ricordava un po' i miei primi giorni all'accademia di polizia, quando passavo le mie pause immersa in stanzoni silenziosi alla ricerca della solitudine e della quiete.
Tornai alla realtà e mi rivolsi al direttore dell'azienda, e al suo vice.
"Gli agenti resteranno qui per recuperare più materiale possibile, il coroner porterà via il corpo. Verranno affissi i nastri gialli e fino a che non avremo terminato di ispezionare la zona, nessuno potrà

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   15 commenti     di: Roberta P.


Penny è volata dal tetto. (Cap 3)

A Caterina, che mi legge e domanda ancora.

Cap. 3

Il sardo si è messo a telefonare in un angolo del bancone, io mi sono fatto fare una birra e finalmente dalla porta entra Sandro che mi sorride e mi saluta con la mano.
-che cazzo… non dovevamo trovarci alla pizzaria rumena- esordisce, niente ciao, niente come va?
- fottiti Sandro, sei sempre in ritardo. Come cazzo fai a tenerti il lavoro.-
-ehi bello, io sono un creativo, mi pagano per l’inventiva non per la puntualità. Come stai? Cristo saranno… quanti, otto anni che non ci vediamo. Per rintracciarti ho dovuto chiamare mezzo mondo. Gran parte della gente che ho chiamato non si ricordava nemmeno chi fossi.-
- magari gran parte della gente non si ricordava nemmeno di me.-
- Infatti. Come stai?- e mi allunga la mano.
Glie l’ho stretta forte, con calore, a lungo, ci siamo sorrisi. È bellissimo rivederlo dopo tanti anni senza sentirci, dopo tante cose fatte insieme, come fratelli, come una banda. È proprio bellissimo, mi sembra di esserci salutati solo ieri, mi ha preso un senso di malinconia, e gioia. Mi sono sentito di nuovo ventenne, pronto a spaccare il mondo, pieno di ideali.
- beviamo- gli ho detto.
Mi sono allungato dietro il banco e gli ho spinato una birra mentre il sardo mi bestemmiava dietro con la cornetta incastrata tra spalla e orecchio, imprecando con una mano e salutando Sandro con l’altra.
- Allora che vita fai? ?"
- Grafico pubblicitario, m’hanno preso subito dopo l’accademia, non sono mai tornato a casa. D’altronde c’era poco da cui tornare. Tu ricordi i miei vero? Tu te n’eri andato a studiare a Roma, così io mi sono fermato la. Poi, lavori, trovi un paio di amici, un po’ di figa e non ti muovi più. E tu?-
- Ho finito di studiare, e adesso faccio il commercialista in un grosso studio del centro. Vivo da tre anni con una ragazza ricca, in collina, in un sottotetto grande cinque volte quella che era casa mia. Cazzo, c’è una vista. Molto alla moda. L

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   1 commenti     di: Umberto Briacco


Serial killer

Prese con calma la mira, inquadrò bene l'obiettivo, poi spinse il dito.
La vittima si dibatté un attimo, poi cadde a terra rantolante.
L'uomo non tradiva nessuna emozione, o forse un senso di soddisfazione era lasciato trapelare dai suoi occhi, niente più di un guizzo, una luce rapida come il flash di un fotografo.
Si guardò intorno e riarmò.
Fra sé pensava e quasi si diceva "E ora la prossima. Niente di più facile. Un lavoro semplice, ma necessario. Una bella ripulita da questa marmaglia che ci assedia ogni giorno. Arrivano a centinaia, ma che dico, a migliaia, e nessuno fa niente per arrestare questo flusso. Il cittadino deve difendersi da sé, perché lo stato non se ne cura."

Un altro colpo, un'altra vittima.

"Quasi mi diverto, anche se ammetto che la soddisfazione scemerà presto, perché per oggi il problema è risolto, ma domani domani si ripresenterà.
E se non ci sono io che faccio qualche cosa, che do il buon esempio, tutto passerebbe nell'indifferenza. Si lamentano, sopportano, i pecoroni, ma non alzano un dito."
Riarmò, spinse il dito ed ecco un'altra dibattersi negli spasimi dell'agonia.

"A volte mi domando il perché di questo lassismo, questo sopportare e non cercare di rimediare. Sembra che tutti dicano: ci sono, altre ne arriveranno ancora, è impossibile porvi rimedio.
Questo modo di ragionare è tipico degli smidollati, gente senza nerbo, esseri amorfi, pronti a criticare, ma quando è il momento di agire preferiscono ritornare nell'ombra."

Un altro colpo, un'altra vittima.

"Certo che non fa piacere sporcarsi le mani, ma prima o poi bisogna pur farlo. Che civiltà è mai la nostra se subisce passivamente queste quotidiane aggressioni, questo ripetuto fastidio che avvelena l'animo?"
Si sposto all'altra finestra della stanza, scrutò i vetri: fuori c'era il massimo silenzio, come in casa, e le vittime ignare del loro destino continuavano la vita di tutti i giorni, come se nulla fosse accaduto.

Riarmò, un altro colp

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