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Racconti horror

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La Seduta Spiritica

“Era una notte buia e tempestosa...” ... Uffa!
Erano ormai le due di notte e Theodore non riusciva a trovare un buon racconto horror per concludere la lunga giornata. Si era meticolosamente preparato per la sera successiva: tradizionale cena con amici a casa di Francoise e di seguito l’immancabile seduta spiritica... per impressionare le bimbe e farsi bello con Sharon. Stavolta però avrebbero fatto le cose in grande stile. Fremeva all’idea e spense la luce ricapitolando un’ultima volta tutti i punti che avrebbero scandito l’indomani.
Fu da manuale... Tutta la banda da Francoise. Mare e bagni a ripetizione, dalla mattina al primo pomeriggio. Ricca merenda e tornei di ping-pong... quindi a darsi una ripulita veloce per la cena e corsa ai posti della tavola imbandita.
Era un appuntamento fisso delle vacanze estive a Little Oak. Anzi, era l’appuntamento che sanciva l’inizio del periodo preferito di ogni adolescente: l’Estate.
Terminati gli obblighi scolastici la ridente località turistica ospitava villeggianti provenienti da varie parti del paese. Theodore e Jerry erano i primi a presentarsi, abitando in una città poco distante; di lì a poco giungevano poi Sam con la sorella Simone ed i loro cugini, Tom, sempre con i suoi invernali chili in più, e Christine, per gli amici Cri.
Era poi la volta di Dusty e di Phil, quindi Sharon. Francoise e Jennifer, sorelle, vivevano a Little Oak tutto l’anno.

Il compleanno di Francoise, la cena a casa di Francoise. Scherzi giochi e risate... e la seduta spiritica. Ma stavolta, stavolta avevano organizzato una gran cosa.
Sam, Phil e Tom erano arrivati alla casa la sera prima, dal mare, di nascosto. Sotto l’apposito tavolo, nel boschetto di pitosfori, avevano messo per terra delle pietre. Le avevano legate, con del filo da pesca, a dei rami delle piante di pitosforo vicine. Così, durante la seduta, al comando “dacci un segno”, Jerry, con le pietre legate di nascosto alle caviglie, avrebb

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Chi è più blue?

La notte, lungo le calli veneziane, puoi sentire solo te stesso, il lento e ovattato rumore dei tuoi passi sulle pietre, il tuo respiro, mentre l'umidità ti entra fin dentro il midollo.
Un uomo di mezz'età, dall'aria imponente e severa, cammina parallelo a un canale, fiero e implacabile, una quercia non piegata dal vento che si sta sollevando sulla città.
Sembra non andare in nessuna particolare direzione, indifferente alle sporadiche persone che incontra, all'improvviso rallenta fino a fermarsi, i suoi occhi attirati da una qualche improvvisa apparizione.
Seduta su uno scalino che dà sul canale c'è una figura, piccola e piegata su se stessa, che cerca di ripararsi con l'enorme zaino da quell'improvviso vento gelido.
L'uomo le si avvicina con circospezione: è una ragazza giovane, molto giovane, dall'aria smarrita.
Pare non accorgersi della sua presenza, finché lui non le parla.
- Si è persa, signorina? Ha bisogno di aiuto?
Si volta a guardarlo, non sembra spaventata da quell'enorme e improvvisa presenza maschile a quell'ora tarda, addirittura balena un'ombra di sorriso in quel volto pallido che contrasta con i capelli scuri, sporcato dal pesante trucco degli occhi che si è sciolto.
- In realtà non so dove andare... Ho speso quasi tutti i soldi per il biglietto del pullman e per un hamburger...
La situazione si fa interessante...
- Non conosce nessuno qui a Venezia che possa ospitarla?
- Veramente no... Non so nemmeno perché sono venuta qua. Una volta, anni fa, ci sono venuta in gita con la mia classe. Ero stata felice... forse per questo ho deciso di tornarci... ma non mi rendevo conto di quanto fosse cara...-
Nei suoi occhi appare un'ombra di malinconia, è sola, sicuramente fuggita da casa, infreddolita, eppure non sembra intimorita. Forse è abituata a quella vita, probabilmente è anche tossica.
Molto probabilmente...
- Quanti anni hai?
Ne dichiara diciotto, mente ovviamente... non può averne più di sedi

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   1 commenti     di: Sabrina Abeni


Una porta sul cortile

Avevo studiato fino a tardi quella notte ed il sonno mi aveva colto all'improvviso. Urtai con un piede i libri abbandonati sul letto e fu proprio quello che mi fece aprire gli occhi, ormai era mattino. Era il 6 giugno e nell'aria si sentiva quella calura di primavera inoltrata, anche se un vento forte e asciutto faceva ondeggiare i grossi rami del ficus, unico albero che si vedeva dalla mia finestra. Il ficus apparteneva al cortile interno del palazzo in cui abitavo, aveva tronco e radici possenti che spuntavano sul pavimento formando quasi una raggiera, non vi era altro in quello spazio circolare a parte le riserve d'acqua che alimentavano gli appartamenti nei momenti di siccità estiva; neppure i gatti avevano piacere di circolare in quel luogo perché , si diceva, i topi erano talmente grossi e quindi terreno di caccia particolarmente difficile. Il mio appartamento era costituito da una cucina, un bagno, una grande camera da letto che dividevo con una delle mie sorelle, con porta che s'apriva direttamente nel cortile. Prendere il sole in quello spazio significava vedere un fazzoletto di cielo, piccolo, azzurro, ma sempre rassicurante, che si spostava con qualche nuvola al seguito, trascinando con sé voci e rumori provenienti dalla vicina strada. Sono le otto, per me è già tardi! Con una falcata mi precipito alla porta e la spalanco; un'ape sfreccia davanti ai miei occhi, poi, ronzando, vola in picchiata in cortile.. meno male! Sono sola in casa, mia sorella è andata a lezione e il palazzo, a quest'ora, è semi deserto. Devo studiare e mentalmente, seduta al tavolo di studio, dopo aver appoggiato i libri sul petto e essermi coperta il volto con le mani, cerco di ripassare la lezione della notte precedente. Improvvisamente apro gli occhi e volgo lo sguardo verso la porta aperta della mia camera e scorgo, con grande sorpresa, un animale che lentamente s'affaccia, peraltro guardingo, noncurante di non aver chiesto il permesso.. Ma è mostruoso! è grande q

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   8 commenti     di: antonina


Notti di luna

Notti di Luna

Nella notte qualcosa cominciò ad ululare, nessuno capì da dove venisse, era ovunque e da nessuna parte, mentre il plenilunio rischiarava dall’alto i tetti delle case ancora spente di Molde. Quell’urlo galoppò diabolico nell’aria, non aveva nulla in comune né con l’uomo né con Dio, i cani pastori di guardia alle stalle rimasero muti, non riuscirono neanche ad abbaiare. Tutti sentirono; quell’urlo s’ insinuò nella mente e nelle paure di tutti. Stefan lo sentì affacciandosi alla finestra che dava sul giardino mentre cullava il piccolo Daniel, Elise lo sentì mentre cercava di bere la sua tisana contro il raffreddore, il grasso e odioso giudice Gotthard lo sentì mentre consumava il suo spuntino di mezzanotte, Holly lo senti mentre riempiva i frigoriferi della tavola calda. Le vie di Molde tornarono al silenzio poco dopo, qua e là alcune finestre si accesero, altri uscirono in strada, qualcuno caricò il fucile e ci fu chi tornò a letto disinteressato come sempre. Paura… non ancora.. strane ombre però erano arrivate dalla foresta.. ombre minacciose decise a nascondersi nell’oscurità.


A tratti, tra le nuvole cariche di neve e il vento che spirava violento su Crawen Strass giù fino al vecchio porto, la luna illuminava di un bagliore cupo le vie del paese. Norman Wildmer era stato colto dalla tormenta, aveva tirato fino a tardi in ufficio per finire di timbrare le scartoffie accumulate ormai da qualche mese. Prese gli scuri accanto alle finestre e li assicuro ai montanti.
-Nemmeno un uragano- .
Tac
-Nemmeno una tempesta-.
Tac Tac
-Nulla entrerà nel mio negozio-
Il vecchio Wildmer fini di montare l’ultimo pannello di legno alla finestra e fuori il vento soffiava come un demonio…Poi si fermò a guardare fisso la porta
-Bah!! Cavolate è solo vento dopotutto-.
Ma il vento non bussava alle porte, in nessuna città del mondo, e di certo fischiava ma non ululava. Norman Fece per prendere il suo cappotto ma i rumori

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   4 commenti     di: stefano moncini


Comignoli

Circa alle due di notte la festa a casa dell'amico Rinus sta per finire e Barbara mi chiede di accompagnarla a casa. Mi infilo il cappotto e prendo la ragazza per mano.
Quando usciamo fuori rimango stupito. É una notte di febbraio. Una luna piccola e bianchissima rischiara la campagna irrigidita dal gelo. La festa calda e rumorosa che abbiamo lasciato dietro di noi sembra un evento lontano.
La campagna sotto la luna è statica, inanimata, come vetrificata nella morsa dell'inverno. Cautamente muoviamo i primi passi sulla strada bianca.
"Ti sei divertito alla festa? Anche mia nonna fa festa la notte del plenilunio..." sussurra Barbara sottovoce e il suo respiro si condensa in vapore davanti alla bocca.
Restando uniti camminiamo piano nella campagna lucente e silenziosa dove anche il tempo è rallentato. A questa ora della notte sembra di trovarsi in un mondo irreale. Le pozzanghere sono specchi di ghiaccio. Sento il corpo di Barbara appoggiato al mio e mi sembra di muovermi dentro un sogno. Forse è l'alcool che ho bevuto a farmi questo effetto.
Dopo un ponticello sul fiume la stradina costeggia una distesa di meli appena potati.
Sotto la luna i tronchi bassi dei meli sono neri e contorti. I rami sono scheletrici, minacciosi, con punte, gomiti, corna...
Sento Barbara che si stringe di più a me. Ha il corpo soffice e caldo e mormora:
"Tienimi vicino. Ho paura... Di notte, mia nonna vede persone che si rincorrono tra i meli..."
Procediamo ancora. Nel silenzio si sente solo il rumore cadenzato dei nostri passi.
Finalmente arriviamo in vista delle prime case del villaggio. Sagome di ombre nere e inclinate sormontate dai comignoli. I comignoli sono immobili e sembrano in agguato. Hanno forme bizzarre, coniche, storte, appuntite...
Ancora la voce emozionata di Barbara che sussurra vicino a me:
"Sento freddo. Nelle notti come questa mia nonna vede persone che escono dai camini..."
Arrivati sotto l'ombra di una casa, ci fermiamo davanti a una porta. Barbara inf

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   0 commenti     di: sergio bissoli


Incubo

C'è freddo. Freddo e buio.
È la prima cosa che Alyce nota non appena apre gli occhi.
Freddo, buio, e un odore selvatico, come di corteccia e foglie bagnate.
Muove qualche passo e sente uno scricchiolio sotto i piedi nudi: un ramo. Si guarda intorno, aguzza gli occhi, che iniziano ad abituarsi alla semi-oscurità che la circonda, e capisce di trovarsi in un bosco.
Gli alberi sono alti e fitti, dai i tronchi sinuosi e puntati al cielo come le spade di un esercito. Il terreno ai suoi piedi è ricoperto di foglie screziate di marrone e di giallo. Una strana foschia avvolge l'ambiente all'altezza delle sue ginocchia.
Si guarda: indossa un abito bianco, lungo e scollato, tenuto su da due sottili spalline che quasi le scivolano dalle spalle. Ha i capelli sudati e appiccicati sul collo e sulle guance, il petto ansante e il cuore in gola, come se avesse corso - ma lei non ricorda di averlo fatto.
Tutto ciò che Alyce ricorda è di aver dato la buonanotte a sua madre, aver indossato il pigiama ed essere andata a letto, come ogni sera. Perché si trova in quel posto? E dove si trova, di preciso?
D'un tratto, una serie di fruscii e scricchiolii di rami spezzati le rivelano che non è sola. Inizia a correre all'impazzata, travolta da un terrore primordiale e assoluto, che le azzera la mente e le contorce le budella fin quasi a farla star male. Quella che prova mentre scappa non è la classica fifa che un essere umano sperimenta abitualmente nel corso della sua vita quotidiana; non è la paura che precede un esame, o un prelievo del sangue, o che accompagna la visione di un film dell'orrore. È la Paura che una preda prova poco prima di essere brutalmente divorata, la Paura che ti spinge a vomitare i tuoi polmoni pur di scappare il più lontano possibile; un sentimento antico e selvaggio come la morte.
Continua a correre, poi si ferma, perché non è mai stata una grande atleta e adesso si sente come se ogni parte del suo corpo stesse per esplodere. Crolla al suolo,

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INsane

Mi tengo stretto la mia lampada ad olio tra le mani, con la sua luce tremolante che illumina solo in parte l'enorme corridoio dai mattoni neri. Non so né come né quando sono entrato in questo luogo oscuro; al di fuori dello spazio e del tempo, ornato da finestre dalla quale traspariva la pallida luce lunare, che solcava le tende rosse decorate con ricami d'orati di indescrivibile bellezza, le scintillanti armature di cavalieri medievali che restavano ritte in piedi nella loro magnificienza, che sorvegliavano questo luogo come dei guardiani silenziosi e imperturbabili, e poi vi erano gli arazzi che rappresentavano i riti e le macabre cerimonie di un culto demoniaco a me sconosciuto. Vago in questo luogo da ore ormai, facendomi strada attraverso il buio con la torcia, ammirandolo e chiedendomi come ci sono arrivato. All 'improvisso sento un rumore sinistro dietro di me. Qualcosa emerge fuori dall'oscurita. Si sta avvicinando. In fretta. Faccio del mio meglio per non urlare. Comincio a correre con i miei passi che battono sul suolo a ritmo della mia paura. Quella cosa continua a inseguirmi ruggendo furiosa, protendendo la sua testa mostruosa e i suoi arti verso di me, mentre guizza i suoi tentacoli in ogni direzione. Vuole ghermirmi tra le sue fauci e i suoi artigli rapaci, vedo i suoi occhi spettrali. Occhi senza anima. Il corridoio sembra farsi più stretto e la vista comincia a diventare fioca. La stanchezza impone il suo tributo. Mi prenderà... lo so... è solo questione di tempo ormai. È veloce... troppo veloce... e io sono troppo debole per fermarlo... è vicino, molto vicino. È propio dietro di me!! Mi sveglio. Sudato e intontito disteso sul pavimento; mentre la luce mattutina si stende sul mio viso solcato dal sudore e dalle lacrime. Mi sono risvegliato da un incubo. Per ritrovarmi in un altro ancor più terribile. Col cuore colmo di dolore e tristezza mi rannicchio al centro della mia stanza. Una stanza con le pareti imbottite e le sbarre alle fines

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