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Racconti horror

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La donna ideale

Era giovedì, per la precisione il terzo giovedì del mese e il cielo non prometteva nulla di buono. Dalla finestra vedevo brutti nuvoloni e cominciava anche a fare freddo, specialmente al mattino, fuori dal letto, e tutto ad un tratto, proprio in quel momento, mi sembrò che l'inverno fosse già arrivato, malgrado fosse da poco passata la metà di Settembre.
Seduto su una poltrona in pelle nera, decisamente comoda devo dire, guardavo fuori chiedendomi che cosa facessi in quel posto. Cercavo forse una giustificazione? Oppure una ragione da pescare nel mio passato di bambino per dare una spiegazione a certe cose?
"Vada pure avanti quando crede, signor Martino"
Proseguii il mio racconto con la vana speranza che forse questa volta avrei cavato un ragno dal buco, come si dice, cioè avrei capito forse qualcosa in più su di me, su come funzionasse (o non funzionasse) la mia testa.
"Eravamo arrivati al portico, era domenica e suo padre se ne stava."
" comodamente a leggere il giornale.." Continuai.
"C'è un bambino vero? È lei, è il piccolo Martino, o Marti, come di solito la chiamava sua mamma"
Non risposi.
Guardai fuori, attraverso la finestra e in un momento tutto fu avvolto da un bagliore giallognolo, mentre la voce del mio psicanalista mi arrivava attutita, stranamente ovattata, come ricoperta da un manto di neve.
"Allora lo vedi quel bambino? Non lo riconosci?"
Mi sembrò di tornare indietro negli anni, quando ogni tanto mio padre mi faceva vedere i filmini in bianco e nero che faceva a me o alla mamma. Adesso era come allora, immagini sbiadite su un lenzuolo che oscilla lentamente.
"Che cosa sta facendo?" Mi chiese a voce bassa.
Non riuscii ad aprir bocca, letteralmente incantato da quella visione. Percepivo solo la sua voce lontana come un eco.
"Secondo me è un bambino molto felice, non credi? Guarda come corre allegro nell'erba, con il sorriso sulle labbra e i capelli al vento. È una bella giornata, splende il sole e il cielo è azzur

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Come i maiali

"Lei sta insinuando che io sto mettendo all'ingrasso mio figlio per...". Il signor Foster sembrava indispettito e divertito allo stesso momento. I suoi denti bianchi lo guardavano e Matt guardava i suoi denti bianchi.
'Si, è quello che sto dicendo', pensò Matt. Anche se adesso non ne era più molto convinto; anzi, iniziava a sospettare della sua stessa sanità mentale. Come gli era potuta venire in mente un'idea del genere? 'È solo uno dei tanti bambini obesi che popolano la nostra città anche se prima era magro come un chiodo e sorrideva sempre'.
Il poliziotto lo guardava con aria divertita. Aveva ricevuto una chiamata dalla stazione dieci minuti prima: bambino in pericolo o qualcosa del genere. Aveva acceso le sirene e si era precipitato sul posto. Ora si stava grattando la fronte, in evidente imbarazzo. "Signore, farò finta che questa chiamata non sia mai arrivata. Lo sa che potrebbe passare un brutto guaio se il signor..."
"Foster". Denti bianchi famelici.
"... se il signor Foster decide di denunciarla?" Il poliziotto guardò Matt. Il suo sguardo di comprensione era lo sguardo di comprensione che si rivolgeva di solito ad un pazzo, ad uno da rinchiudere, la tipica persona che vostra nonna affetta da uno stato avanzato di Alzahimer non ci penserebbe un attimo a definire 'strano'. Questo sguardo infranse per un momento tutte le convinzioni di Matt.
"Io... ecco...", aveva la gola secca. "Penso che... no, no, lasciamo stare, chiedo scusa, mi scusi tanto".
Matt si girò e tornò verso casa a testa bassa. Solo quando la porta fu chiusa alle sue spalle iniziò a provare un po' di sollievo e la convinzione di quello che aveva fatto (chiamare la polizia per denunciare un tentativo di omicidio) riprese vigore in lui.
Aveva le prove, e anche se non poteva dimostrare facilmente quello che il signore e la signora Foster avevano intenzione di fare a loro figlio... be, qualcosa avrebbe fatto. Aveva visto la metamorfosi del bambino, il suo corpo gonfiarsi di g

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Gli occhi di Damien

C'era qualcosa di sensuale nei suoi modi, nelle movenze... nel suo sguardo.
Era un piacere vederlo all'opera.
Damien era il surplus della bellezza decadente; Pallido, alto e magrissimo, capace di incantare, di lasciare senza fiato. Forse questo mi fece perdere la testa.
Seguii parecchie sue mostre; forse rassegnato, accettò di prendere un caffé con me.
"Grazie per aver accettato l'invito signor Bloom, sa, la seguo da un po' di tempo e mi ha davvero colpito la sua opera. Non vedevo l'ora di complimentarmi di persona con lei, ecco perché ho insistito tanto in questi mesi. Ah, e poi volevo il suo parere su...". Cominciammo a frequentarci sempre più spesso, trovò interessanti i miei manoscritti. Così ebbe inizio la nostra storia, la nostra meravigliosa storia...
Eravamo liberi amanti; per un periodo esistemmo insieme, nella sua spartana soffitta dalle pareti color porpora.
Passavamo le giornate sul gran letto al centro della stanza, e mentre io leggevo, lui traeva ispirazione per sempre nuove tele: divenni la sua musa, o almeno, una delle tante...
Formammo un idillio, o meglio lo creai da sola, me ne innamorai perdutamente, e fu questo a rovinare tutto. Cominciai a provare una tremenda gioia nel dormire al suo fianco, nel sentirne il respiro, caldo, sul mio collo.
Tutto quello che desideravo era poter essere amata da quell'angelo. Avrei fatto qualsiasi cosa per lui.

Quell'angelo che, anche nella stessa casa, è sempre stato da me lontano...
Mi ero illusa di poter tenere in gabbia un essere alato...

Non sopportavo più il profumo femminile nei suoi lunghi capelli, o i graffi non miei sulla sua bianca schiena...
Litigammo al punto di interrompere la nostra convivenza; non ci vedemmo per lungo tempo, ma dai suoi occhi non seppi distaccarmi.
Misi il mio vestito più bello, che tanto gli piaceva, raccolsi i capelli e mi cosparsi la pelle d'assenzio.
Convinta che non avrebbe potuto resistermi mi diressi da lui senza avvertire. Egli era impegna

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Gli insetti

A quei tempi lavoravo in una pasticceria. La pasticceria era gestita da due vecchie zitelle Alma e Wilma.
Al piano inferiore c'era il locale riservato al pubblico e sopra, in un granaio era situato il forno con le tavole per impastare e gli scatoloni degli ingredienti. Sacchi di farina, di zucchero, ceste di mandorle, bidoni di latte, di marmellata erano stipati dappertutto ed accatastati perfino lungo la scala.
L'ambiente era uno stanzone basso e scuro e prendeva luce da un lucernario e da finestrini a livello del pavimento. Il mio lavoro consisteva nel fare un po' di tutto: aiutavo a impastare, caricavo il forno, rifornivo gli ingredienti, facevo le pulizie.
Arriva l'estate, caldissima. Nella pasticceria avevamo messo in funzione i ventilatori e steso le tendine per le mosche.
Una mattina sono giù in negozio quando sento un grido e poi la voce isterica di Wilma che mi chiama.
Corro su per le scale e lei mi indica dei granellini neri sul ripiano di marmo. Li tocco per esaminarli. É sterco di topo, probabilmente. Da dove sono venuti? La proprietaria pare molto preoccupata e mi fa sistemare alcune trappole.
Due o tre giorni dopo, la proprietaria sale di sopra e scopre che le cialde che avevamo messo a lievitare la sera prima pullulano di tarme. Sono animaletti lunghi, pelosi e sembrano molto voraci.
Quella mattina la trascorriamo impegnati a raccogliere le cialde dentro ai bidoni per evitare che si propaghi l'infestazione. É un lavoro massacrante. Le sorelle riempiono i bidoni di cialde inutilizzabili, io scopo e ripulisco tutto intorno ammazzando le tarme. Togliamo tutte le scatole dagli scaffali per ripulire i ripiani e le sistemiamo sul lato opposto della stanza.
Arriva mezzogiorno e siamo ancora indaffarati a rimettere le cose al loro posto. Comunque tarme non se ne vedono più, tranne qualcuna che scopriamo nascosta sotto il forno o lungo le scale.
Il giorno successivo le cose sono peggiorate. Sugli imbuti, dentro alle terrine, sopra ai mestoli è co

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   2 commenti     di: sergio bissoli


Amore immortale

La pagina bianca di fronte a me...
Dove sei amore mio?
Non sento più il tuo profumo sulla mia pelle la mattina, quando aprivo gli occhi e c'era la tua bianca schiena accanto a me...
Accanto a me... Ci sei sempre stata tu.
E questa pagina continua ad essere bianca.
Sono passati già 2 mesi da quando sono andata via. Ho dovuto farlo, era necessario.
Almeno questo te lo dovevo...
Sei la cosa più importante per me.
Lo sei sempre stata e sempre lo sarai.
E fa male saperti lontana eppure così vicina.
Chiudo gli occhi e sento ancora la tua voce che mi chiede se voglio i cereali o un toast a colazione. Io che mangiavo solo per passare più tempo con te, per sentirmi ancora vivo.
Con te, lo ero.
Per la prima volta da quando ero morto ero felice. Ero vivo.
Ogni colore, ogni sapore mi entrava dentro, mi attraversava il cuore senza farmi male.
Pensavo davvero di poter far funzionare le cose, di poter rendere le cose normali tra noi. Ma cavolo! Non so neanche io come ho potuto illudermi tanto.
E peggio ancora ho illuso te, amore mio.
Ti ho fatto credere che poteva essere bello, che poteva essere per sempre, anche se io e te abbiamo due concezioni diverse di tempo. Ho 265 anni e l aspetto di un 25enne. E tu ne hai solo 24 e l'aspetto di una piccola principessa...
La mia principessa. L'unico rimpianto...
Ma so di aver fatto la scelta giusta lasciandoti andare, lasciandoti vivere la tua vita, senza che questa mia oscurità rendesse marcia anche te che sei la cosa più meravigliosa che abbia mai visto.
Senza che, tutto questo male, questi segreti, questi dolori, toccassero anche te, rendessero tutto cupo e grigio come la mia anima, semmai ne avessi ancora una.
Il mio compito è proteggerti e sono davvero capace di proteggerti da tutto o quasi.
Sono un vampiro, sono forte, controllo la mente con un semplice sguardo. Sono veloce, tanto veloce. Ma sono pur sempre un vampiro amore mio...
Una creatura della notte, senza un'anima.
E adesso, anche senza un cuo

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   3 commenti     di: Flowers night


Il Primo Giorno

I due uomini sono seduti uno di fronte all'altro; una scrivania di robusto legno di noce avida di decorazioni intarsiate a dividerli.
Il padrone della scrivania è intento a leggere minuziosamente ogni dettaglio del fascicolo che ha fra le mani mentre l'altro uomo, molto più giovane, lo guarda continuamente nella speranza che dica qualcosa... qualunque cosa che metta fine all'agitazione che lo tormenta e che risulterebbe ben chiara anche agli occhi di un cieco. Del resto gli indizi non mancano, anzi: basta guardare la gamba destra che sta vibrando in continuazione sulla punta del piede da quando si è messo seduto, le mani che si sfregano vigorosamente ad intervalli quasi regolari e le gocce di sudore, non copioso certo, che regalano un'insolita lucentezza alla fronte e che minacciano di afflosciare quel ciuffo così ben fatto.
Il pesante aroma di sigaro che impregna l'ambiente di quella pur spaziosa stanza lo costringe a trattenere il fiato per alcuni istanti prima di riprendere a respirare con qualche difficoltà... ed il bruciore alla gola non può davvero migliorare la situazione... mai sopportato l'odore di un sigaro. Ed eccolo lì quel maledetto!
Comodamente adagiato sulla tacca del posacenere in marmo che svetta proprio davanti a lui, con quella colonnina irregolare ed opaca che sprigiona una delle estremità e che si spande man mano che sale fino ad invadere tutta l'aria respirabile. Almeno si potesse aprire un momento la finestra... ma chiaramente non può chiederlo al suo anfitrione, ancora costantemente impegnato nella lettura. E non può nemmeno sfogare la sua frustrazione con qualche vigoroso colpo di tosse; equivarrebbe a spezzare molto malamente il religioso silenzio che si è arrivato a creare già da parecchi minuti.
Quel piccolo, arrogante pezzo di tabacco e foglie di piante cubane essiccate! Pare quasi che lo osservi divertito ed orgoglioso di procurargli tale fastidio. Come se il nervosismo e l'ansia del responso non fossero sufficienti.
Il

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Tombe

Una volta al mese, per ordine di una vecchia zia, vado a pulire la tomba di famiglia nel piccolo cimitero di Rover.
È una giornata di settembre mentre percorro la stradina di campagna che porta al cimitero. Due vecchi intabarrati procedono lentamente. I gatti si scaldano al sole ormai basso. Lungo i fossi oscillano grandi fiori gialli.
Arrivato sulla tomba butto via i fiori secchi, cambio l'acqua e con uno strofinaccio incomincio a pulire le lastre di marmo.
Un tizio con la penna in mano sta davanti alla tomba vicina. È vestito di scuro e porta grossi occhiali da miope.
Spinto dalla curiosità, prima di andare via gli chiedo:
" Ha i suoi morti sepolti lì?"
"No, non ho nessuno. Io vengo qui solo per imparare..."
"Imparare che cosa? La brevità della vita?"
"Sì, ma non solo questo. Qui siamo vicini al mistero della morte..."
Fa una pausa prima di continuare: "Lei non si è mai chiesto dove va a finire la personalità dell'individuo: tutte le sue esperienze, le conoscenze, le emozioni, le sensazioni..."
"Finiscono tutte con la morte del corpo."
"In natura nulla si distrugge e tutto si trasforma. Il corpo fisico durante la vita si trasforma in corpo psichico. Quando il corpo fisico muore il corpo psichico sopravvive..."
Poi l'uomo si sposta davanti a un'altra tomba e io vado via.
Il mese dopo, in ottobre, percorro la stradina tortuosa del cimitero. Una nebbia grigia ristagna sotto i pioppeti ingialliti.
Il cimitero ispira desolazione. Ci sono vasi rovesciati, fosse allagate da cui proviene l'odore della terra marcita. Davanti al casotto del becchino c'è una vanga interrata e uno scopino per il cesso; alla sinistra un cartello pubblicitario della luce votiva.
L'uomo con gli occhiali sta guardando la foto ovale di una ragazza col viso triste e gli occhi grandi. Mi fermo per salutarlo e lui commenta:
"Guardi questa ragazza. Sembra troppo fragile per affrontare le durezze della vita."
"È vero. Chissà che storia dolorosa c'è dietro!"
"Nessuno ha mai

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   3 commenti     di: sergio bissoli



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