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Racconti horror

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Il Sangue Malvagio di Praga

Non appena il Rabbi Josef cominciò ad attraversare il maestoso ponte Carlo, il sole, una grande sfera arancione bassa nel cielo, s'infranse contro l'imponente sagoma del castello. Josef non poteva vederlo perché in quel momento procedeva con il tramonto alle spalle, ma gettò lo sguardo alla sua sinistra e mantenendo un'andatura costante osservò lo strabiliante gioco di colori riflettersi nel letto placido della Moldava.
Non c'erano molte persone in giro a quell'ora, ma le poche che incrociava chinavano la testa in segno di saluto e rispetto. Josef rispondeva distrattamente, concentrato sul rito che avrebbe avuto luogo quella sera stessa. Quella notte la città di Praga era nelle sue mani, sebbene poche persone se ne rendessero conto. Il rito del sangue malvagio avrebbe placato la sete di vendetta del loro protettore.
Quel giorno ricorreva la morte del famoso Rabbi Löw, colui che per una vita si era battuto per il benessere e la sopravvivenza degli ebrei di quella città. Colui che per il bene di tutti aveva creato la vita dal nulla, dominando i quattro elementi e modellandoli in un uomo d'argilla.
Josef sorrise al pensiero che quell'essere conosciuto come il Golem un tempo si muoveva per il ghetto con il suo stesso nome: Golem Josef. E lui quella notte avrebbe saziato la sua sete.
Una volta superato il ponte svoltò a sinistra e seguendo il corso del grande fiume procedette verso il ghetto. Di solito non prendeva quelle strade, piuttosto avanzava fino alla torre dell'orologio per poi proseguire verso la sinagoga, ma quel giorno aveva bisogno di concentrarsi e scelse delle stradine secondarie, poco trafficate e buie.
Passò dietro il Bethchajim, il vecchio e sacro cimitero ebraico, e quando arrivò alla sinagoga Vecchia Nuova il cielo si era fatto scuro.
All'ingresso non c'era nessuno. Scese i gradini che portavano alla sala principale ed entrò nel luogo sacro più antico della città.
La sinagoga Vecchia Nuova aveva quasi mille anni di vita. La su

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   1 commenti     di: Andrea Franco


www. Last Emotion

Un sabato sera.
Le undici e mezza.
Le strade ed i locali pieni di ragazzi ansiosi di divertirsi e scacciare alla velocità della luce tutti i problemi e gli stress accumulati durante la settimana. i modi per raggiungere lo scopo sono i più svariati: chi pensa di scatenarsi in discoteca fino alle prime luci dell’alba, dimenandosi come un pazzo al ritmo della rimbombante musica house, che ormai è divenuta un culto per le nuove generazioni. Chi siede comodamente al tavolo di un pub e si rilassa sorseggiando un cocktail analcolico o leggermente alcolico, mentre ascolta distrattamente l’artista dal vivo di turno che sforna a raffica cover di grandi successi del passato o attuali. Una manciata di chiacchiere con gli amici della compagnia; gli argomenti sono più o meno sempre uguali... cosa non va nella politica del paese, cosa non va nel sistema economico, il fatto che la vita sia troppo aumentata e non si riesca più a concedersi le cose di una volta oppure, nel caso dei più giovani e sbarbatelli, le discussioni si riducono drasticamente a figa, cinema, sport o cosa fare l’estate prossima.
C’è anche chi preferisce isolarsi all’interno di una sala cinematografica e fare il suo ingresso nel mondo di fantasia che ha scelto, per immedesimarsi nell’eroe o, perché no, nel cattivo di turno, sperando non ci siano scocciatori che parlino ininterrottamente durante le scene clou o fastidiosi rumori prodotti dalle mani unte che continuano a rovistare nelle confezioni di popcorn e patatine.
Oltre a questi, che sono i più comuni, esistono tuttavia anche altri svariati tipi di divertimenti che ci si può concedere il weekend. Un concerto, una bella cena fuori, una commedia a teatro e così via. Per molte persone il fine settimana rappresenta proprio il culto di ricercare sempre qualcosa di nuovo ed originale da proporre a sé stesso ma anche agli amici, i quali lo riterranno un vero e proprio esperto nel settore del divertimento e lo riempiranno di inviti.
Ma c?

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Incubo

... manca l'aria, sento il peso dell'anidride carbonica che mi sfonda il petto.
Il terrore imbottito, funi d'acciaio m'immobilizzano. E poi l'oscurità, matassa impenetrabile distorta dal suono affannato dei miei respiri convulsi. Sempre più rapidi, come la raffica singhiozzante di una mitragliatrice asmatica.
Provo a muovere la testa, a guadagnare qualche millimetro, ma sono del tutto immobile, rigido come un blocco di carne ghiacciata.
Avverto l'odore di terra bagnata. Percepisco un leggero spiffero d'aria che non riesco a respirare.
Per me solo esalazioni venefiche di legno marcio.
E il buio, sempre e solo buio. Tiranno inflessibile che non ammette opposizione di luce.
Prigioniero del mio corpo, del terrore, dell'orrore tra tutti gli orrori, prigioniero...

... è questo il mio incubo di sempre. Il delirio che da anni mi tormenta.
Sognato tre, quattro, mille volte a notte.
Un lungo ciclo infinito. Un'assoluta ripetizione dell'eterno uguale.
Ogni notte, da quando ho memoria. La prima volta avevo sei anni e ricordo che crollai giù dal letto vittima di una crisi isterica senza precedenti nella storia del mondo.
Mia madre riuscì a calmarmi solo molte ore dopo, quando il sole aveva cominciato a fare capolino dalle colline intorno a casa.
Non andai a scuola per una settimana, tanto era spaventato. Le prime notti furono le peggiori, quando, vivendo quell'assenza onirica di luce e movimento, credevo che si trattasse della più cruda realtà e che non ci fosse via di scampo. Che fossi imprigionato per l'eternità.
Poi, giorno dopo giorno, divenne chiaro che era solo un brutto sogno e che, anche se mi svegliavo con il cuore prossimo all'esplosione, non c'era nessun pericolo. Che ero al sicuro in camera mia. Che i miei genitori erano a pochi metri da me, pronti a proteggermi da ogni minaccia che avesse aggredito la mia vita.
Dopo una quindicina di giorni, il sonno non era più fonte di terrore e ben presto il sogno divenne qualcosa che cominciai ad accetta

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L'ospedale maledetto Seconda Parte.

...
“E poi che cosa successe? ”
“Abbiamo cercato Alessia per tutta la notte. Abbiamo guardato ovunque... sembrava essere scomparsa. ”
“Ed è stato a quel punto che Federico ha deciso di andarsene? ”
“È stato il mattino dopo. Il sole è spuntato quando ancora eravamo impegnati nelle ricerche. Un sole pallido e malato. Eravamo tutti allo stremo delle forze e demoralizzati per non averla trovata. Anche se volevamo tutti dormire almeno un po’ non eravamo certo dell’umore giusto. Tony si accorse che fuori la macchina non c’era più. Abbiamo pensato che Alessia se ne fosse andata senza dirci nulla. Sapevo bene che ne aveva le scatole piene di quello che facevamo... così come sapevo che la nostra storia era arrivata da tempo al capolinea. Ma non volevo credere che se ne fosse tornata in città senza avvertirci. Non aveva senso... ”
...
“Se n’è andata, Robby! Ha avuto più buon senso di tutti noi! Ed io e Francesca la seguiremo a ruota! ”
“Ragiona, Fede! Ci sono almeno venti chilometri prima di arrivare in città e non ho visto fermate di mezzi pubblici da queste parti. Non potete andare a piedi! ”
“Non sarà necessario infatti. Chiamo un taxi e lo faccio venire qui. Quando sarà arrivato, tu e Tony potrete decidere se venire con noi! ”
Robby volge lo sguardo preoccupato verso Tony, impegnato al portatile... non gli piace l’espressione che sta facendo. Sembra abbia dei problemi che non riesce a risolvere. Nello stesso momento, Federico prende il telefonino dalla tasca e compone febbrilmente il numero della compagnia di taxi... con disappunto, scopre l’assenza di campo. Lo spegne e lo riaccende... stessa storia. ”
“Che strano. Eppure sono sicuro che ieri prendeva. Probabilmente, il temporale ha messo fuori uso qualche ripetitore. Il tuo com’è messo, Francy? ”
“Morto anche il mio... ” risponde la ragazza fissando il display del suo cellulare.
“Anche il mio non ne vuole sapere. ” Aggiunge Roberto. “Hai q

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Il frutto miracoloso

Questa mattina c'è una strana agitazione nella casa del mio vicino. Lui non è ancora uscito per andare a lavorare. Persone entrano ed escono, altre sono raggruppate davanti ai cancelli.
Il mio vicino è un manovale di 55 anni e abita in una casetta con piante di serenelle, assieme alla moglie, tre figli e il vecchio padre.
Sono arrivate ancora delle altre persone perciò, dopo colazione, scendo giù in strada. Chiedo a una grassona che sta in piedi in attesa se può dirmi cosa è successo. Così mi racconta la storia più incredibile che abbia mai sentito.
La sera prima, 15 luglio, il manovale nel tornare dal lavoro si era fermato da un ortolano per comprare un cocomero. Lo sceglie grosso nel campo, lo stacca e lo porta a casa. Taglia il cocomero davanti alla moglie e ai figli e vedono che all'interno c'è scritta una grande lettera M.
Restano allibiti e non osano toccarlo. Allora chiamano i vicini e restano a discutere tutta la notte. Concludono di conservarlo nella ghiacciaia per il giorno dopo.
Questa mattina molti paesani hanno saputo questa storia e sono venuti a vedere. In questo paese dove non succede mai nulla anche un fatto insignificante attira l'attenzione.
Così mi unisco al gruppo di curiosi e aspetto il mio turno per vedere di cosa si tratta. Arriva uno dei figli ad aprirci e ci fa entrare in casa. Aspettiamo ancora in piedi nella piccola cucina. Alcuni parlano a bassa voce facendo congetture, altri si informano sui particolari.
La cucina è piccola, afosa e malrischiarata. Il pavimento di mattoni sconnesso, i mobili scuri e sporchi. Da una porticina aperta vedo il retrocucina. Uno stanzino stretto e semibuio con uno stipo, una finestrella e una vecchia ghiacciaia.
Arriva il padrone di casa, alto, magro e sdentato. Con modi servizievoli ci guida dentro il retrocucina. Tira i catenacci per aprire lo sportello della ghiacciaia. Sembra un sacerdote che apre il reliquiario di un Dio. Trattengo l'impulso di ridere. Ma sono diventati tutti matti q

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   1 commenti     di: sergio bissoli


Cannella

Sovrastati da Lei. La fabbrica si ergeva come un tempio di divinità dimenticate, in mezzo allo squallore circostante. Grigia, plumbea, avvolta dall' alone di lugubre sacralità dei luoghi di culto.
Entrammo, o meglio, la penetrammo. Quegli spasmi di languida vitalità incorporea non potevano appartenere al piano dell' inanimato, lo sapevamo bene. Penetrammo lentamente il grosso cancello pulsante.
E avvertimmo ancora una volta il profumo. Cannella. Inebriava i cinque sensi e, forse, sfiorava corde ben più profonde, sopite nell' inconscio.
Proseguimmo attraversando il cortile. Non ci fu bisogno di forzare il vecchio portone di legno con la spranga: lo trovammo spalancato.
- ci sta aspettando - sussurrai guardando i miei tre compagni nelle pupille contratte.
L' odore adesso era diventato nauseabondo. Polvere ocra danzava leggera formando densi banchi che si dissolvevano e si assemblavano, vorticando ad ogni nostro passo. Ombre nere vi piroettavano attraverso.
E mi accorsi di essere solo, nel Nulla.
La mia spranga colpì un corpo, poi un altro, un altro ancora. Fendeva la nebbia densa color sabbia mentre l' olezzo di cannella si faceva sempre più intenso.
La polvere avviluppava l' arma in una dolce morsa e la guidava
Un altro colpo.
Ancora un colpo.
Le Ombre non danzavano più tra le spire ocra.
Ero solo.
La spranga gocciolava fluido rosso, vermiglio, illuminata dalla luce crepuscolare filtrata dal pulviscolo.
Ero solo.
Il profumo della cannella era scomparso insieme ai turbini.
Ma le Ombre non sanguinano.

   1 commenti     di: Giulio Emme


Ti amo

Lui la guarda.
Lei è bellissima sotto la luce della luna.
Lei sorride, nella sua mente quel sorriso è rivolto a lui.
Lei si accende una sigaretta, non sa che se continua così finirá per rovinare il suo splendido corpo.
Lui le si avvicina, le sfiora la spalla.
Lei lo guarda i suoi occhi penetranti lo squadrano
-Che vuoi pezzente?-la sua voce presenta un'inclinazione alla collera.
Lui si allontana
Con la coda dell'occhio nota che lei ha appena iniziato a parlare al telefono.
La sua voce squillante lo ferisce come una coltellata non è possibile che lei gli abbia rivolto quelle parole e ora sta parlando al telefono come se niente fosse
Lei deve imparare a capire che per lei esiste solo lui... e nessun altro.
Dalla tasca interna della giacca tira fuori un coltello.
Le si avvicina.
Lei abbassa l'apparecchio -Oh ancora tu!- esclama ma lui le avvicina il coltello.
Lei emette uno grido stridulo.
Lui le accarezza una guancia ma lei é troppo impietrita, troppo spaventata e lui invece la vuole morbida e disposta come tutte le volte che nei suoi sogni se l'è immaginata.
La costringe a sdraiarsi per terra.
Lei inizia a singhiozzare.
Le sferra un calcio sul mento.
Lei smette.
-Brava- mormora
Con il coltello puntato contro di lei si slaccia i pantaloni.
-No ti prego-sussurra lei impaurita
Le strappa la gonna, le sue mutande biamca rispendono alla luce della luna.
Gliele sfila lentamente
Lei ha ripreso a singhiozzare.
I suoi singhiozzi si fanno alti e lui non ne può più.
Prende il coltello e glielo conficca tra i seni.
La camicetta si tinge di rosso.
Emmette un singulto.
I suoi occhi vitrei si rivolgono verso la luna mentre la sua bocca aperta in un grido che non avrá più fine
Lui le si avvicina all'orecchio e mormora
-Ti Amo-

   3 commenti     di: Giulia Brugnoli



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