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Racconti horror

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Zucche

"Vieni a vedere, vieni a vedere che cosa ho trovato... Stamattina sono andato nel campo delle zucche e mi sono spaventato. Vieni, vieni a vedere anche tu..." insiste con voce ansante il contadino di nome Angel.
É un umido pomeriggio di fine agosto. Il sole rosso sta per tramontare.
Avanzo nel terreno fangoso seguendo malvolentieri il grasso Angel che cammina dondolandosi. In fondo al sentiero basso si stende la piantagione di zucche. Per terra ci sono enormi pozzanghere e l'aria è satura di umidità.
Camminiamo fra le foglie ruvide di zucche che fanno un rumore di cartaccia spiegazzata.
"Dove andiamo a finire?" chiedo senza interesse.
"Siamo quasi arrivati" sbuffa Angel. "Dovrebbe essere qui, o più avanti... Ecco, là! Guarda."
Due zucche color rosso fuoco, enormi e deformi stanno adagiate tra le foglie.
"Ma ti sembrano zucche queste? É roba da fotografare! É roba da mettere sul giornale..." grida Angel.
"Beh, sì, forse..."
"É roba dell'altro mondo, questa!"
"Beh, adesso non esageriamo..."
Promettendogli di venire con la macchina fotografica ritorno a casa e dimentico l'accaduto.
Un paio di sere dopo, al ritorno dal lavoro, passo davanti alla casa di Angel. Lui è ancora nell'orto e mi chiama agitando il braccio. Scendo dalla bicicletta e lo raggiungo vicino a una aiola di melanzane.
Gli edifici degli essiccatoi mandano un'ombra cupa e fredda. Le distese di meli di fronte sono immerse nella foschia. Ci sono mucchi di pali marciti. Un pagliaio è fradicio di acqua.
Angel sembra fuori di sé stasera:
"Ne ho trovata un'altra, ed è ancora più grossa!"
"Beh, adesso non ho tempo..."
"É mostruosa ti dico! Seguimi!"
Ci incamminiamo ancora per il sentiero in discesa verso la piantagione di zucche. Il cielo è color grigio piombo, eccetto per una macchia rossastra laggiù a ovest. Gli stivali di Angel affondano nel fango e io ho le scarpe tutte bagnate camminando sui ciuffi d'erba.
Quando arriviamo in vista della piantagione di zucche Angel si fer

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   4 commenti     di: sergio bissoli


Pace e Silenzio

Basta! Basta! Basta! Basta!
Sbuffai nervosamente dalle narici. Bestemmiai a denti stretti. Infilai la testa sotto al cuscino cercando di non sentire più nulla, invano. Ma perché urlavano!? Cosa aveva da piangere quel maledetto bambino!? Da quando erano venuti ad abitare qui la pace era finita: da un mese non dormivo, al lavoro non rendevo più come una volta, tutta la mia vita stava andando in pezzi solo per colpa loro! Cominciai a mordere il cuscino mentre le lacrime mi graffiavano le guance. Cominciai a scalciare, preso da un attacco di crisi isterica. Aprii il cassetto, tastai dentro alla ricerca dei calmanti. Dove cazzo erano? Trovai il flacone. Saltai a sedere sul letto. Mi riempii la bocca di pasticche, le ingurgitai, tutte. Ero una persona stressata, depressa, emotiva... quella che il mio psicologo definiva "una personalità complessa e distorta", un relitto umano praticamente. Avevo paura di tutto, ero ipocondriaco, agorafobico, maniaco della pulizia e dell'ordine, del silenzio. Avevo una personalità disturbata, mi sentivo incompreso dal mondo, mi sentivo allontanato da tutto e tutti. La mia piccola casa, la mia nicchia ecologica, il mio rifugio, il mio riparo di periferia, tranquillo e isolato era l'unica cosa che ancora mi teneva coi piedi per terra ed evitava di farmi diventare completamente matto e fuori di testa. Ma adesso c'erano quei nuovi vicini e tutto era cambiato. Il mondo mi aveva trovato, era riuscito a raggiungermi pure lì, era entrato nel mio sistema perfetto, alienato dalla realtà, tra le mie pasticche, il mio Cardinal Mendoza e Bach. Ero problematico, ma non avevo mai fatto male a nessuno, chiedevo solo un po' di pace, un po' di tranquillità... non ho mai chiesto niente a nessuno, mai, nemmeno a Dio, sono ateo. Sentivo che così non poteva continuare... pensai di uscire a fare un giro, due passi, all'aria fredda, ma di notte gli spazi sono così vuoti, privi di persone, così vuoti e mostruosi, così crudeli con me. Crollai a terra e

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   5 commenti     di: Roveno Valorosi


Amori oscuri

Mentre cammino per le strade semideserte di questo piccolo paese, il cielo si scurisce sempre di più e incomincia a cadere la pioggia.
Dopo una breve corsa mi rifugio sotto l'architrave di una vecchia casa, evidentemente abbandonata. Ma poiché mi bagno anche lì, spingo la porta marcita ed entro dentro.
Mi trovo in una camera con il pavimento sporco e le pareti annerite. C'è un armadio e uno specchio verdognolo. Dentro all'armadio sta appeso un vestito da sposa. È ingiallito, impolverato rosicchiato dalle tarme.
Queste sono le uniche cose rimaste, muti testimoni degli avvenimenti che si sono svolti dentro alla stanza. Ma l'armadio non aprirà i suoi segreti e riguardo allo specchio chi mai vorrà fidarsi delle immagini degli specchi
Da uno squarcio fra le nubi piovono giù raggi dorati come da un gigantesco setaccio. Le campane suonano, le candele ardono dentro alla chiesetta dove la gente con i vestiti nuovi chiacchiera e attende.
La sposa arriva vestita di bianco e una coroncina fra i capelli. È pallida e seria. I suoi pensieri vagano a un amore passato, a un amore finito Adesso però è troppo tardi, adesso lei sta per sposarsi Le nubi in cielo formano un altare di luce bianca.
Una festa di nozze con le lanternine e i cuori di carta appesi ai rami degli alberi. Una festa paesana dolce e un po' triste. Tutti mangiano, bevono, ridono e parlano. Ma il passato non è morto come lei credeva. I fili del passato le arrivano fino al cuore, germinano dolorosi ricordi, velenosi rimpianti
Verso sera con l'oscurità arriva il fresco, l'umidità; gli ospiti si alzano e vanno via Non c'è niente di più triste di una festa finita. Gli invitati si disperdono. Per terra restano immondizie, cartacce che il vento fa roteare. Gli sposi, rimasti quasi soli, si incamminano per rientrare. Una luna marcia sorge dietro i tetti delle vecchie case.
È arrivata la notte, la prima notte da passare insieme. Le scale scricchiolano, le mani della sposa sono bagnate d

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   1 commenti     di: sergio bissoli


Notturno

1.
L'odore dominante di quel locale sotterraneo era quello di muffa, ma piacevolmente lieve e per nulla stantio, quasi a ricordare l'originale funzione per cui le cantine erano state inventate. In quella, però, non vi erano rastrelliere piene di polverose bottiglie di vino o salumi allegramente appesi a profumare l'aria di intensi effluvi alimentari. I pochi oggetti presenti nell'ambiente erano un paio di sedie, un tavolino di formica e una strana cassa la cui oscura mole svettava in un angolo quasi completamente buio nella parte opposta del locale.
Sulla seconda sedia, quella non occupata da me, vi era una figura umana, polsi e caviglie strettamente assicurati da una corda e con la testa reclinata sul petto, inerte come fosse narcotizzata o priva di sensi. Ancora non dava segno di volersi svegliare, quindi mi assestai meglio sulla traballante e vecchia seggiola impagliata che occupavo e attesi.
Girai la testa verso l'unica feritoia che collegava quel locale ipogeo con il resto del mondo. In realtà la feritoia non dava direttamente verso l'esterno, ma su di un pozzetto in cemento che sbucava all'aria aperta un paio di metri più in alto. Un altro piccolo accorgimento, pensai, per rendere la sua tana ancora più sicura e inaccessibile al mondo esterno. Un lieve chiarore filtrava ancora da quell'angusto pertugio, ma stava velocemente scemando. Eravamo già oltre l'ora del tramonto e gli ultimi baluginii di luce solare stavano cedendo il campo all'oscurità della notte.
«C'è ancora tempo. » pensai e mi alzai per assicurarmi che i legacci fossero ben stretti e lo trattenessero alla sedia metallica senza che potesse avere alcuna possibilità di liberarsene. Se fosse successo, non sapevo cosa sarebbe stato di me, ma in quel momento ero convinto che non sarei sopravvissuto per scrivere questo resoconto.
In quegli ultimi attimi prima che il confronto iniziasse, ebbi un moto di dubbio per ciò che mi apprestavo a fare. Dall'inizio dell'impresa sapevo c

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   1 commenti     di: Fabrizio Piazza


La donna del lago

"Le dirò la verità, non credo molto nella psicoanalisi se sono qui è perché ne ho provate tante. È una vita che tento di uscire da questo incubo, è diventato impossibile, se non risolvo..."
"Va bene, andiamo con calma. Da quello che ho capito questo disagio se lo porta dietro da molto tempo, quanto?"
Filippo Moroni era sdraiato sul divano dello psicanalista Carlo Sigismondo, un eletto nel settore, le sue sedute erano rinomate e la sua parcella era talmente elevata da incidere sul ripristino psico-salutare del paziente.
"La prima volta è successo a sei anni, anni di incubi persistenti che poi sono passati fino a sei mesi fa, quando sono ricominciati. Non voglio tornare nell'angoscia, nel tormento. Voglio uscirne. Questa volta dev'essere definitiva".
Lo psicanalista stava seduto alle sue spalle, le gambe incrociate e sopra un quadernino su cui segnava le parole che si ripetevano o che sembravano la chiave per aprire ambienti ormai stagnanti nella mente del paziente.
"Cominciamo dall'inizio, quando lei aveva sei anni. Cosa è successo?"
Filippo sospirò, la stanza era leggermente buia, chiuse gli occhi e con gli occhi della mente tornò nel lontano 1981, quando era un felice bambino di sei anni in visita dalla nonna.
"Quell'estate i miei genitori decisero di fare una crociera da soli e mi lasciarono nella villetta di mia nonna in campagna. Quella era la casa dove era cresciuto mio padre, poco lontano dal paese di Montespertoli; vicino c'è un grande lago dove puoi fare gite in barca. Amavo andare da mia nonna, avevo delle amicizie con i bambini delle case vicine, ero libero di giocare per la campagna senza essere sorvegliato e questo mi faceva sentire grande e autonomo. Ero contento di andare là."
"Un giorno fu organizzato un picnic insieme ad altre famiglie sulle rive del lago. La mattina tutti i bambini fecero il bagno, abbiamo giocato con la palla in acqua, io quell'inverno avevo fatto il corso di nuoto e mi sentivo importante perc

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   10 commenti     di: Paola B. R.


Alys On Hell (Parte da 9 a 17)

(Nona)

(Sei mesi dopo)
Toby scodinzolò felice quando vide Alys alzarsi dal letto.
Il suo viso era parzialmente tumefatto; le mani e le braccia pure.
Strani lividi le percorrevano la pelle;
in su ed in giù fino alle costole ed in parte anche sul collo.
Alys sorrise a Toby.
"Ciao amore mio come stai oggi?" Chiese.
Il cane abbaiò qualcosa che lei non comprese.
"Immagino bene! Dove sono i vetusti?"
Il cane mosse la testa come se un dubbio alla domanda si esternasse solitario nella sua coscienza di cane;
poi scodinzolò;
Si diresse verso la bambina e si strusciò a lei.
"Sono Giù con Fromm vero?" Chiese ancora.
Poi dei passi interruppero ogni ulteriore quesito.
Quell'uomo entrò in camera; osservò la bambina e le sorrise
"Ciao Alys! Come andiamo oggi?" Domandò.
"Guarda te Fromm! Lividi e cicatrici dappertutto!" Rispose allegra.
"Si! Non male direi! Sei pronta?" Chiese quasi titubante.
Alys lo guardò e poi gli disse:
"Io sono sempre pronta! Ma sei sicuro che anche i miei lo siano?"
"Cosa ti fa pensare il contrario?" Chiese l'uomo un po preoccupato.
"Lo sai Fromm! Lo sai Benissimo anche se non ne parliamo apertamente!" Si fermò mentre l'uomo abbassava la testa.
"Non è così facile fargli comprendere dove devono venire!" Concluse.
"Lo so mia Cara Alys! Lo so.
Ma come già spiegato innumerevoli volte, loro devono capire; devono vedere il male che ti affligge con i loro occhi.
"Sono ormai quasi sei mesi! Credo" Apostrofò la bambina.
"Sei mesi esatti! Confermo!" Disse L'uomo.
"Perché non spieghi loro tutta la verità?" Chiese Alys
"C'è una procedura! Te l'ho sempre detto!" Ribadì quasi alterato.
"Una procedura da seguire!" Poi si voltò verso il cane e lo accarezzò.
Toby leccò la mano dell'uomo con naturalezza.
"Ah! Caro Toby! Potessi aiutarci te!" Disse Alys.
"Non si sa mai! In fondo qualche lezione l'ha seguita!" Fromm sogghignò con una smorfia.
"Lezioni? Quelle?" Alys fece spallucce.
"Si Alys! Per entrare in sintonia con

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   1 commenti     di: Dark Angel


Sogno o realtà?

Notte fonda, fredda. Camminavo per la strada incurante della direzione e della meta, il mio fiato si condensava subito e diventava fumo bianco nel momento stesso in cui mi usciva dalle labbra. Non sapevo come fossi finita a girovagare di notte nei sobborgi di Parigi.
Ero sola e nella mia mente rimbombava una voce suadente di uomo che mi diceva di camminare, ma non mi diceva verso cosa, o verso chi. Camminavo come mossa da una mano invisibile, attraverso ponti e vicoli scuri, non guardavo nemmeno dove mettevo i piedi come se fossi convinta che quella mano mi guidasse sulla "giusta" ed ignota via.
Camminavo da tempo oramai, o così mi sembrava, quando sentii dietro a me dei passi, erano appena percettibili ma io li sentivo ugualmente. Credevo che la stessa forza che mi spingeva mi avesse voluto fare sentire quei passi.
Decido di fermami, e la forza me lo permette, dopo qualche secondo una mano si posa sulla mia spalla. Dietro di me un uomo, aveva la carnagione perlacea, i capelli nerissimi e portati all'indietro. Indossava abiti di strordianaria fattura, ma di un altro secolo, indossava una splendida giacca di velluto nero, e al collo ha un foulard di seta bianca, i bottoni della giacca sono argentati e portano l'effige di un drago. Il suo volto era ben levigato che pareva di cera.
"Ora ti reciterò una poesia. Sono versi di morte che ti condurranno a me per l'eternità. Ma tranquilla, non te li dirò tutti insieme, ma una strofa per notte per 7 notti, così che la tua agonia si protragga a lungo."
Perchè quell'uomo così bello, era così crudele con me? Perchè voleva la mia morte?
" Non guardarmi con quegli occhioni pieni di vita. Ti starai chiedendo perchè? non è vero?"
. Annuii, non riuscivo a parlare, i muscoli della faccia mi sembravano paralizati.
." Non c'è un perchè, io ti ho chiamato e tu mia hai risposto. E sei venuta a me."
. Era uno dei miei ultimi giorni di vita, e l'unica cosa che riuscivo a fare era annuire ad ogni su

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